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In quel periodo, mai avrei immaginato

che Dario dicesse
tutte le altre cose che ha detto.

Ha cominciato a raccontare di questi abusi

avvenuti in uno scenario cimiteriale,
cose di questo tipo.

La dottoressa Avanzi
mi ha detto che c'era quest'altra bambina

che non parlava con me,
parlava con un'altra collega

che raccontava situazioni

che anche Dario
aveva raccontato in quel modo.

C'erano degli uomini che sinceramente
non riesco a riconoscere.

Ero bendata quando facevano queste cose.

Erano degli uomini mascherati.

Avevano la maschera da diavolo
e la tunica da frate.

Era veramente strano che una bambina,

in un altro servizio,
con un'altra collega,

raccontasse e descrivesse
degli scenari simili.

Mai mi sarei immaginata
come agiscono i pedofili,

figurarsi pensare che ci possano essere
persone che fanno abusi ritualistici,

parlando del diavolo, di bere sangue,
cose di questo tipo.

Diceva che aveva paura
di bruciare all'inferno.

"Secondo te quando pesa una cassa?"

Un bambino che ti chiede
quanto pesa una cassa?

Mai pensavo che si potesse arrivare lì.

E davvero, emotivamente, è devastante.

VELENO

La Bassa modenese è un territorio
circondato in tutte le direzioni

da chilometri di pianura
e campi coltivati.

Fra le tante comunità
sparse sul territorio,

Massa Finalese
è un tipico paesino italiano.

Case basse, poche strade.

C'è la piazzetta con il bar
e i tavolini all'aperto.

C'è la scuola,
la parrocchia con il campanile.

La gente si incontra
sul sagrato della chiesa.

Partecipa alle processioni organizzate
dal parroco.

I bambini vanno all'oratorio.
Ci sono le feste, le sagre.

È un paese di poche migliaia di abitanti,
dove la gente sa chi sei.

La nebbia, per buona parte dell'anno,
è così fitta

che basta quasi farci un passo dentro
per sparire nel nulla.

Dicono che la nebbia nasca
dall'ombelico del mondo, qui da noi.

Sale, sale dal basso e va...

Va a togliere i contorni di tutte le cose.

Quindi c'è questo paesaggio ovattato
anche nei rumori.

E, come la nebbia,
le notizie si diffondevano.

Si parla di pedofilia.
Si parla... ma da dove? Come?

In seguito alle sette condanne
del primo processo, all'inizio del 1998,

i servizi sociali furono informati

di nuove accuse
di abusi sessuali si bambini.

Inizialmente, non sembrava esserci
nessuna connessione

con la vicenda di Federico Scotta
e di Francesca Ederoclite.

Queste accuse si concentravano
all'interno di due famiglie

di Massa Finalese.

La prima aveva radici napoletane

ed era la famiglia dei coniugi Santo
e Maria Giacco con i loro sei figli.

Nei primi anni 90,
vivevano in una casa popolare,

nello stesso condominio
di Ivan, Debora e Dario Galliera.

Nel marzo del 1998,

le autorità disposero l'allontanamento
della figlia, Michela Giacco, di 8 anni,

dopo che una vicina di casa
aveva allertato i servizi sociali.

L'altra famiglia erano i Morselli.

Diversamente dai Giacco
che erano immigrati

e della famiglia Galliera che viveva
in condizioni di estrema povertà,

i Morselli provenivano dal ceto medio.

Lina ed Enzo, ormai ultra settantenni,

avevano cresciuto i loro figli
dei pressi di Massa.

Videro nascere una terza generazione
di Morselli, i loro nipoti,

sempre in quella zona.

Di questa famiglia numerosa,

erano Giuliano Morselli e la moglie Monica
a essere scrutinati dai servizi sociali.

Vivevano in una cascina
nei pressi di Massa Finalese

e facevano fatica a provvedere
in maniera stabile

alla piccola figlia, Milena.

Mi chiamo Giuliano Morselli.

La mia vicenda è iniziata nel 1997-98.

Mi figlia Milena aveva 9 anni.

Milena era...

Era una bimba buona.

Frequentava l'asilo a Massa Finalese,

dove mia sorella faceva
la maestra d'asilo.

Io ricordo i compleanni, le feste...

Mia sorella Lorena ci ha sempre tenuto
molto a fare i compleanni.

A queste date importanti

che erano un'occasione
per riunire i bambini.

Sia per giocare insieme,

sia per fargli capire
che avevano dei cugini, degli zii...

Queste cose qui che un bambino
è giusto che sappia, ecco.

Giuliano, purtroppo,
incontrò una ragazza che era malata.

Monica aveva le turbe psicologiche

scatti d'ira, scatti di nervi.

Queste crisi venivano, andavano.

Io ci stavo male, ci capivo poco,
però, non potevo farci niente.

Più di dirle: "Hai preso le medicine
che devi prendere?"

Anche la bimba l'ha vista varie volte.

Vedeva una mamma che, insomma...
che aveva qualcosa.

Il clima era un po' teso,

nel senso che io non volevo abbandonare
il posto di lavoro.

Volevo comunque bene
a mia moglie e a mia figlia.

Cercavo di appoggiarle dove potevo,

perché non potevo permettermi
una baby-sitter...

o un aiuto maggiore.

Milena era una bambina
che capiva le cose molto molto bene.

Ma era una bambina che, da subito,
aveva dei momenti di euforia

e dei momenti di chiusura completa.

La maestra è stata la prima...

ad accorgersi di questi...
chiamiamoli difetti della bambina.

Mi disse che la bambina era brava,
ma era un po' distratta.

Insomma, non riusciva a capire bene
cosa avesse la bimba.

Allora, la maestra ci ha consigliato
di portare la bambina da una psicologa.

L'USL mi ha dato
il nome di una psicologa,

che fra l'altro conoscevo
perché abitava a Massa Finalese.

Il suo nome era Emma Avanzi.

Emma Avanzi ha seguito mia figlia
per due anni e mezzo.

Il mio timore
era quello di non essere creduta.

Ero... un po' introversa, forse.

Mi fidavo anche poco delle persone.

Purtroppo,
la famiglia si è rivelata essere...

un completo disastro, ecco.

Perché sono iniziati molto presto
gli abusi in famiglia.

E niente,
la mia infanzia è stata rovinata.

E lì che succedeva?

- È...
- Iniziavano come?

Io ero qua.

Poi dopo, papà veniva
e facevamo così... cioè....

Guarda, oggi ho montato questa casetta.

Sai che non ho mai visto
una casetta così bella della Lego?

Devo comprarla anche io questa casetta
per i miei bimbi.

Guarda che bella!

Sono stata anche alcuni mesi

cercando di riprodurre,
tramite la casa della Lego,

quello che accadeva
nella mia famiglia naturale.

E dopo, però, io tornavo a casa.

Avevo paura che la mia famiglia biologica

scoprisse che io stavo parlando
e che stavo chiedendo aiuto.

Più passavano le settimane,

più la bambina faceva fatica
a parlare con me, però...

Cosa devo dire?

Mi fidavo di Emma Avanzi

e mi fidavo di questa USL
che segue i bambini.

Io, ogni tanto facevo dei colloqui
con Emma Avanzi.

Mi diceva:
"Vedi cosa c'è là sulla scrivania?"

"Sì, dicevo io,
c'è una casa costruita con i Lego.

Ci sono dei dinosauri, dei serpenti
sul tetto, nella porta, nelle finestre."

"Quello lì, lo ha fatto tua figlia."

"Sai che significato ha?"

"Tua figlia dice che a casa sua
vede i mostri,

e li ha raffigurati in questa casa
che ha fatto lei.

Tua figlia dice così, tu cosa mi dici?"

Io non ero qui presente.

Non so se gliel'hai suggerito tu
o meno, però...

Io non dico niente.

Non è stato semplice perché all'inizio
lo raccontavo come se fosse una storia.

Poi, a un certo punto, lei mi chiese:
"Ma queste cose le vivi anche tu?"

Evidentemente, si era accorta
che era impossibile.

Come fa una bambina
a raccontare di queste cose?

Erano racconti che una bambina
di sei, sette, otto anni che avevo

non poteva fare.

Io le dissi: "Sì, queste cose capitano
anche nella mia famiglia".

Io, in quel momento,
ero consapevole di un fatto

che è successo qui a casa,

e che la bimba
ha raccontato alla psicologa.

Eravamo su questo divano

e guardavamo
dei cartoni animati per bambini.

Io ero seduto là di lato,
lei era lì che giocava.

Ha smesso di giocare per vedere
i cartoni animati ed è venuta vicino a me.

Io avevo il pigiama.

Stando lì a guardare i cartoni,

mi sono rilassato
e ho avuto un'erezione spontanea.

Lei si è accorta che c'era qualcosa lì.

E io le ho detto...

Lei fa: "Papà, cos'è quello lì?"

"È il papà che a volte...

Deve andare in bagno."

Allora, sono passato
e sono andato in bagno.

Lei è rimasta a vedere i cartoni.

Una cosa del fare l'amore
che a te non piaceva, qual era?

Che mi baciavano.

- Ti baciavano?
- Sì.

- Dove?
- Sulla bocca.

Le rivelazioni di Milena portarono
a un intervento rapido e decisivo.

I servizi sociali convocarono la famiglia
nella sede di Mirandola

con il pretesto di organizzare
un allontanamento temporaneo.

Il 2 luglio 1998 mi chiama
l'assistente sociale alle 9 di mattina.

"Ti ricordi che avevamo detto

che oggi dovevi venire
a firmare dei documenti?

Si stava ipotizzando
un allontanamento temporaneo,

in cui la bambina
sarebbe stata posta in un'altra famiglia

per un tempo da decidere,
15 giorni, un mese.

Credevo davvero che fosse un aiuto
per la mia famiglia.

Con mia moglie e mia figlia
siamo saliti in macchina.

Io ho guidato per 11 km
per andare a Mirandola.

Lei mi diceva: "Papà, mi vieni a trovare?
Mi vieni a trovare?"

E io le dicevo: "Sì, certo."

La bambina me l'ha chiesto più volte.

In 11 km, si può chiedere la stessa cosa
anche per 20 o 40 volte.

USL MODENA
CENTRO SERVIZI

Speravo che quello che firmavo

fosse davvero
per un allontanamento temporaneo.

Io l'ho firmato senza leggerlo.

Ma quando l'ho letto,
ho capito che poteva essere più grave

di quello che mi diceva
l'assistente sociale.

Ho chiesto consiglio a mia sorella.

È stato un fulmine a ciel sereno.

Da quel giorno lì non abbiamo capito
più niente e nessuno.

Io ho pianto tutto il giorno,
quel giorno lì.

Io mi dicevo: "Devo smettere di piangere",
ma non ci riuscivo.

Qualsiasi domanda io ponessi
ai servizi sociali,

mi dicevano:
"Il bambino dice sempre la verità."

Sempre la stessa risposta.

Io dicevo: "Di che verità state parlando?"

Se mi portano via mia nipote,
io voglio capire il perché.

Cosa c'è sotto? Perché? Qual è il motivo?

Pronto, buongiorno.
Sono la signora Morselli.

Chiamerò fra un po'.

Buongiorno.

Pronto, buongiorno.

Chiamerò fra un po'.

Pronto, buongiorno.

Telefonavo tutte le settimane.

Volevo sapere e non mi arrendevo.

Anche se avevo sempre la stessa risposta,
non mi arrendevo.

Io con chi devo parlare?
Con quale psicologo devo parlare?

Mi dica lei.

Comunque, a me le vostre risposte
non piacciono, neanche un po'.

Mia sorella è andata a lamentarsi
sull'allontanamento di mia figlia.

Ha fatto subito varie telefonate.

Avrà sicuramente informato
tutti i preti della zona,

per avere maggiori informazioni.

E si è sentita dire:
"Signora, ne stia fuori, stia a casa."

E lei continuava.

E ha fatto bene,
perché voleva sapere la verità.

Alla sua richiesta pressante e giusta
di avere risposte, da zia,

c'era stata da Marcello Burgoni

una risposta intimidatoria e violenta.

Mi ricordo proprio
che ci fece il segno del dito.

"Stia attenta."

Dove devo stare attenta?
Qual è il punto debole?

Dove mi possono colpire? I figli.

Mi sono detta:
"La battaglia è appena cominciata."

Perché comunque, noi siamo sempre...

Noi, genitori, abbiamo sempre torto
e il servizio sociale ha sempre ragione.

Sempre.

12 NOVEMBRE 1998

Erano le cinque o cinque e mezza.

Io sono andata in cucina
per bere un bicchiere d'acqua.

Faceva molto freddo.

Intanto che bevevo il bicchiere d'acqua,
immersa nei miei pensieri,

ero seduta e sento suonare alla porta.

Dalla porta, ho chiesto: "Chi è?"

E loro mi hanno detto: "Polizia."

"Non si preoccupi, signora, è la Polizia."

La Polizia entra, erano in sette.

C'era Pagano che mi dice:

"Non si preoccupi, signora

perché lei non è indagata."

Poi hanno cominciato a rovistare in casa,
ad aprire tutti i cassetti,

ad aprire gli armadi,
a buttare per aria il materasso.

Poi hanno detto:
"Adesso svegli i bambini."

Erano lì che mi guardavano
con occhi sgranati.

E che con i loro occhi chiedevano:
"Cosa sta succedendo?"

Quindi, io ho cercato
di mantenere la calma.

Ho detto:
"Vestiamoci e facciamo colazione."

Noi facevamo,
eseguivamo quello che ci dicevano.

Poi, ci hanno chiamati in un angolo.

Ci hanno detto:
"Ascoltate cosa dice vostra nipote."

Avevano un foglio, in formato A4,
con delle sottolineature.

Pagano comincia a dire:

"Cimitero, bambini, fiaccole, tombe,

cappucci, processione."

E lì, io mi sono detta: "Ahi, ahi."

Io intanto ero già un po' in allarme.

Ti portano via un bambino,
tu non sei più tranquillo, capito?

ORE 6:00
CASA DI GIULIANO MORSELLI

Dalla finestra,
io vedo una macchina della Polizia

e un'altra macchina con il lampeggiante.

Monica è un po'...

È un po' sbalordita. Si è vestita.
Dopo 10-15 minuti, siamo partiti.

ORE 6:30
CASA DEGLI ZII DI MILENA MORSELLI

Qui davanti c'erano tre o quattro macchine
che facevano luce con dei fari.

Allora, quando ho visto
che c'era scritto "Polizia", io ho aperto.

"Signora, chiami i suoi familiari
perché devono tutti venire con noi."

Quando sono venuto giù, questi poliziotti
ci guardavano e non dicevano niente.

A un certo punto, sono venuti giù
con una scatola in plastica.

C'erano delle fotografie
e una frusta da cowboy sopra.

"Avete avvisato l'avvocato?"

Abbiamo detto: "Perché?"

Dice: "Ma non sapete
che voi adesso andate in galera?"

In pratica sono rimasto sbalordito
perché ci hanno arrestato tutti.

Io mi sono sentita morire.
Hanno portato via tutti i miei familiari.

Mi sono sentita da sola.

Ho cominciato a dire:
"Signore, aiutami, Signore aiutami."

Non ce la facevo più, mi sentivo mancare.

Arriviamo a Mirandola, in Commissariato.

Lì, incontro la Donati,
era lì che ci aspettava.

Comincia a dire:
"Ma Lorena, stai tranquilla."

"Vieni su a fare una firma
e vi portiamo a casa tutti."

In quel momento,
Emilio comincia a piangere.

La Donati scoppia come un petardo.

Dice: "Sei una cattiva madre!"

"Stai facendo piangere i tuoi figli,
sei tu che fai piangere i figli.

Sei una cattiva madre, sei cattiva.
Sei una madre cattiva."

Loro sembravano molto spaventati.

Lei sembrava molto arrabbiata,
più con loro che non con noi.

Ha proprio detto alla ragazza più grande:
"Sei stata tu a dire qualcosa?"

Con un tono abbastanza forte.

Mi dico: "Mio Dio, ma cosa devo fare?
Cosa faccio? Scappo?"

Come fai a scappare con quattro bambini?

In un Commissariato, non scappi.
È impossibile.

Allora, mi sono fatta forza.

Ho detto: "Sarà quel che sarà, non voglio
altri traumi sui miei bambini."

E sono partita con la Donati.

Mi ricordo
di averla sostenuta per le scale,

perché si sentiva male.

E siamo andate su.

L'allontanamento c'è solo

quando il bambino ha bisogno
di essere messo in sicurezza,

finché non si capisce
quello che è accaduto.

Di fronte a me c'era Burgoni che teneva
il decreto del Tribunale dei minori.

Lo teneva come un trofeo.

Aspettava che reagissi.

Mi ero talmente scontrata
con il servizio sociale

per la situazione di Milena,

che mi dico:
"Qui continuiamo sulla stessa scia".

Mi è venuta la rabbia, ho cominciato
a inveire contro Burgoni.

Gli ho detto:

"Burgoni, dopo tutte le telefonate
che ho fatto,

dopo tutte le domande che le ho posto,

questa è la risposta?"

E lui continuava a dire:

"Ma guardi che c'è un decreto
del Tribunale dei minori."

Gli dico: "No, No."

"Se c'è un decreto
del Tribunale dei minori

è perché qualcuno ha portato acqua sporca
al Tribunale dei minori.

Chi ce l'ha portata?"

E lui continuava a dire:
"Ma io non c'entro niente."

"Io eseguo."

Vollero che facessimo delle firme.

Io non firmai niente,
mio marito non firmò niente.

Io la capivo, nel senso
che anche per un genitore

è molto traumatico nel momento
in cui ti portano via un bambino.

Ho chiesto a Burgoni:
"Me li faccia vedere un'ultima volta."

Lui mi ha detto di sì,

ma la Donati, che era dietro,
mi ha detto di no.

Eravamo vuoti, eravamo senza niente.

Non avevamo più niente.

Senza i nostri figli,
non c'era più niente.

Come si fa?

La mattina ce li hai
e la sera stessa non ce li hai più.

Ma come fai?

Torna l'angoscia di un anno fa.

Stessa zona, fra Finale Emilia
e Mirandola, in provincia di Modena.

Sette le persone arrestate oggi.

Violenze e abusi sessuali...

Gli arrestati hanno negato, ma per nessuno
è scattata la scarcerazione.

Inenarrabili violenze
subite da bambini piccoli...

Intercettazioni telefoniche, pedinamenti,

e il materiale sequestrato
durante le perquisizioni

hanno dato ulteriori conferme.

Il discorso è che ci sono
dei servizi sociali che funzionano.

È così che questi fenomeni
sono venuti fuori.

Arrivava questa notizia
di perversione, di pedofilia.

Chi è che spruzzava questo veleno?

Questa nebbia dentro a questa comunità,
a questo paese?

- Che vuol dire, mi perdoni?
- Non ne voglio sapere niente.

IL TRIBUNALE CI HA STRAPPATO 4 FIGLI
SENZA UN PERCHÉ

Io so soltanto che ci è andata di mezzo
gente che non c'entra.

Se effettivamente gli assistenti sociali
potevano fare quello che volevano,

allora, la minaccia sui figli
la sentivi come il fiato sul collo

di una bestia feroce
che ti sta inseguendo.

Queste persone sono infamate
per tutta la loro vita.

È una cosa che...

Prima di accusare delle persone,

per me, bisogna stare molto attenti
a quello che si dice.

STORIA DI UNA FAMIGLIA DISTRUTTA

Mio marito ci faceva mettere la macchina
al rovescio, come pronti per andarsene.

Aveva avvertito i nostri figli.

"Se sentite suonare di notte,
vestirsi in macchina,

pronti che ce ne andiamo."

Le parole di una bambina intelligente
ma disturbata psicologicamente,

sono bastate per far portar via
i miei quattro figli.

Io ho salvato sette bambini.

Li hai salvati dalla cosa
che non mi hai ancora detto.

Non so cos'è, ma dici essere una tragedia.

Tu li hai salvati.

La notte del 12 novembre

non furono allontanati soltanto
i quattro figli di Lorena e Delfino.

Altri due bambini di Massa Finalese
subirono la stessa sorte.

Tra questi, c'era Simona,
la cugina di Milena, da parte materna.

Finché non ho iniziato
a vedere le psicologhe,

io non riuscivo a spiegarmi tanto
la situazione.

Erano loro a dirmi
che avevo bisogno di essere protetta.

Lei è mia cugina.

Sarebbe la figlia
della sorella di mia mamma.

La Donati mi ha detto tante volte
che a fare il mio nome è stata mia cugina.

Io pensavo:

"Magari è successo agli altri e lei,
per paura che succedesse anche a me,

o che qualcuno mi potesse fare del male,

mi ha coinvolta per proteggermi."

La Donati mi diceva:

"Tutti gli altri ora stanno parlando,
stanno raccontando,

e tu sei l'unica che non ha ancora avuto
il coraggio di farlo."

Nove giorni dopo il blitz,

le autorità disposero le perizie mediche
sui bambini allontanati.

Gli stessi medici che avevano testimoniato
durante il primo processo,

il proctologo Maurizio Bruni
e la ginecologa Cristina Maggioni,

vennero chiamati a visitare
anche questo nuovo gruppo.

Innanzitutto, mi avevano preparato prima.

La Donati mi ha detto:

"Se il dottore tira fuori
la macchina fotografica,

vuol dire che anche a te
è successo qualcosa."

Mi sono lasciata visitare
poi mi ricordo di un altro medico.

Ha preso la macchina fotografica
e ha scattato delle foto.

È stato un momento
in cui io ho perso tutte le speranze.

L'esito delle visite mediche
confermava i sospetti degli inquirenti.

Nei mesi successivi,
le indagini andavano avanti a pieno ritmo.

In un luogo protetto,
all'insaputa dei loro familiari,

i bambini partecipavano a una serie
di incontri filmati con delle psicologhe

incaricate dal giudice
per le indagini preliminari.

Senti, io ho saputo dalla psicologa,
che tu hai fatto una visita medica.

Sì.

Ti hanno detto che alla tua farfallina
è successo qualcosa.

Che cosa può essere successo
che ha lasciato quei segni?

Il mio papà mi faceva...
mi toccava con...

con le pinze.

Io avevo dolori lancinanti allo stomaco
tutte le volte che dovevo raccontare.

Perché avevo paura
che, nel momento in cui lo raccontavo,

qualcuno entrasse nella stanza
e mi prendesse.

Avevo paura che mi capitasse qualcosa
perché eravamo stati terrorizzati.

E queste cose dove avvenivano?
A casa di qualcuno?

- No.
- E dove accadevano?

Eravamo nel capannone.

Mi portavano i miei zii.

- E mi ripeti chi erano?
- Zio Giuseppe.

Emidio.

Giuliano.

Con quegli oggetti, mi fanno male
in alcune parti del corpo.

E tu ti ricordi questi oggetti?

Era un punteruolo...

Una lima...

A un certo punto,
sento qualcosa di freddo lì in mezzo.

Poi, andavamo in macchina per...
non so, qualche minuto.

E dove vi portavano?

In un posto che era molto silenzioso.

Non riuscivo a capire perché ero bendata.

Nel cimitero, erano un bel po'.

C'erano sette o otto persone.

- Di bambini?
- Sì.

Con la tunica da frate...

Con l'abito da frate.

Come un frate,
però con una maschera da diavolo.

Quelle persone che mi facevano del male

mi dicevano che resuscitavano il diavolo
che era sotto terra.

Che ci poteva venire a prendere
e portarci all'inferno.

- Dovevamo per forza crederci.
- Altrimenti?

Dopo ci picchiavano.

Anche Marta,
la figlia di Francesca Ederoclite

suicidatasi un anno prima,

raccontava agli psicologi
la sua versione dei fatti,

coinvolgendo così gli imputati
del primo processo con i nuovi indagati.

Uno stava attento a quelli che entravano.

Invece gli altri due,

uno mi faceva del male
e l'altro invece faceva le foto.

C'era un tavolo, delle sedie...

E tipo una sdraio,
come quelle delle dottoresse.

Certe volte, la mamma stava dentro.

E là dentro cosa faceva?

- Guardava.
- Guardava.

E dopo, alla fine,
davano i soldi alla mamma.

Come ricordi tutte quelle cose,
quegli episodi?

Me li vorrei dimenticare.

- Vorresti dimenticarli.
- Sì.

Ci veniva a prendere con un camioncino.

Il camioncino era bianco
con delle scritte.

Gli adulti erano molti.

Iniziava a essere buio
e non riuscivo a orientarmi bene.

Io ho creduto ai bambini
che hanno raccontato queste cose.

Però, mi sono resa conto davvero

che alcuni dei loro racconti
erano cose che succedono nella realtà,

quando il Pubblico Ministero,
il dottor Claudiani,

mi fece vedere delle foto.

Non erano le foto di questi bambini.

Le chiamavano "snuff", "foto snuff".

Mi sono accorta che alcuni dettagli
che i bambini raccontavano

erano in quelle foto.

E sono davvero raccapriccianti.

Lì, veramente ho toccato con mano che...

nel concreto, quello che raccontavano.

Andavamo in una piccola stanza,
uno alla volta.

Ci spogliavamo dal bacino in giù.

Io non ci capivo più niente
perché ero confusa, impaurita

e le lacrime mi scendevano dagli occhi.

È stata un'esperienza terrificante.

È toccare con mano
una sofferenza fortissima.

Cioè non....

E capire che ci sono delle persone

che provano piacere nel vedere
la sofferenza di questi bambini.

Mamma mia...

Mi devo fermare.

L'organizzatore
di questi momenti nel cimitero

colui che gestiva queste cose assurde,
questi abusi di gruppo,

era colui che dettava un po' gli ordini
durante queste messe sataniche,

durante questi riti satanici.

Lui secondo me sapeva la vita di Gesù.

Secondo me aveva studiato.

Era come un prete, ma un prete falso.

Era la persona che mi terrorizzava di più.

Era davvero...

Io avevo una paura matta di lui,
veramente.

Sono riuscita a dire il suo nome

solo un anno dopo
essere stata allontanata.

Era la cosa più dura, più terribile
che dovevo dire.

Mi volevo liberare di questo peso.

Grazie al racconto dei bambini

sembra ormai prossimo l'arresto
di chi organizzava le orge.

Un personaggio conosciuto da tutti

e che pagava per realizzare videocassette
che poi rivendeva profumatamente.

Don Giorgio Govoni, 58 anni, parroco
di Staggia e San Biagio di Massa Finalese,

ha spiegato ai due PM,
Andrea Claudiani e Carlo Marzella,

di non conoscere
i bambini che lo accusano,

ma di avere solo aiutato
la famiglia di uno di questi.

Ovviamente, il fatto
che fosse stato individuato un sacerdote

ha complicato ancora di più
a livello di opinione pubblica.

Insomma, c'è stato un'incredulità,
una difesa di questo sacerdote,

che fra l'altro era una persona
che aveva un'associazione,

che si spendeva anche per queste famiglie.

È un bel paese Massa.

Un bel paese, però succedono cose strane.

Sono più inventate che il resto.

- Lei dice che sono tutte inventate?
- Un bel po'!

Io abito lì vicino, vede?
Vicino al cimitero.

Tutte le sere,
vado a fare un giro al cimitero.

Non ho mai visto una luce io, lì dentro.

Le persone di quella zona,
cioè della Bassa modenese,

erano tutte a favore del sacerdote,
e delle famiglie Morselli e Covezzi.

Nessuno credeva

che poteva essere successa
una cosa del genere.

L'unica chiacchiera su Don Giorgio

era il fatto che fosse un po' strano
come sacerdote.

Poco curiale, diciamo.

Era spettinato, con la barba
non sempre perfettamente rasata.

Portava le bretelle ed era costantemente
con un sigaro toscano in bocca.

Per cui, era una figura
un po' sui generis.

Riceveva i fedeli spesso in quello
che lui definiva "la sua sagrestia",

cioè nel ristorante Dalla Marta.

Lì, lui andava a consumare i pasti
sia a pranzo che a cena.

Era una persona che aveva un certo fascino

perché ha dato un modo diverso
di vedere la chiesa.

Don Giorgio è qui con noi

ed è un po' l'organizzatore
di questa manifestazione.

Abbiamo visto prima....

Penso che avesse tanta gioventù dietro.

Proprio perché ha fatto da filtro
tra una mentalità un po' vecchia

e un modo di vedere la chiesa
diverso, nuovo.

Gli piaceva molto la compagnia.

Organizzava dei pulmini,
ci portava in montagna, a castagne.

Ci faceva anche divertire.

Mentre gli inquirenti
portavano avanti le indagini,

Lorena e Delfino,
rispetto a tutti gli altri,

erano intrappolati in un limbo legale.

Il Tribunale per i minorenni
di Bologna

aveva predisposto
l'allontanamento dei loro figli,

Ma la Procura non aveva mosso accuse
contro nessuno dei due.

In questa situazione,

non era semplice pensare
a una strategia difensiva.

Non siamo indagati.

Nessuna segnalazione ai servizi sociali
era mai stata fatta sui miei figli.

Ce li hanno portati via senza mai
ascoltarci al Tribunale minorile.

Lasciavamo agli avvocati
il compito di andare avanti.

Di aiutarci a risolvere,
a liberare questi figli.

Non mi capacitavo, da giovane avvocato,

come in un Paese civile come l'Italia,

potesse succedere una cosa del genere.

A Delfino e Lorena, venne contestato
al Tribunale per i minorenni

che non si erano accorti

di quello che stava succedendo
ai loro figli.

Ci siamo resi conto
che dovevamo intervenire

anche rendendo pubblica la problematica.

INGIUSTO ALLONTANARE 4 BIMBI
DAI GENITORI NATURALI?

FERMIAMO I SERVIZI SOCIALI.

Nella comunità, c'era la certezza
che si trattasse di un errore giudiziario.

Quindi, questa comunità
dava voce a questa sua convinzione,

anche con manifestazioni.

Alla prima manifestazione
davanti al Tribunale di Modena,

c'erano un centinaio di persone.

Lui dice: "Sì, io sono un senatore.

Io posso, a livello di Governo,
interrogare il ministro della Giustizia,

perché qui, già emergono delle anomalie."

Iniziai a depositare a Roma

delle interrogazioni parlamentari
al Senato,

mentre, parallelamente,

l'onorevole Giovanardi
le presentava alla Camera.

Ho incontrato
questi due genitori disperati

che non riuscivano a rendersi conto

di come questa tragedia
fosse piombata sulla loro famiglia.

Mi raccontarono piangendo
l'atteggiamento nei loro confronti

che era ostile
da parte dei servizi sociali.

L'obiettivo era molto semplice,

ovvero che il ministro
venisse in aula a spiegare

i motivi per i quali
a una famiglia italiana

potevano essere portati via
quattro bambini in quella maniera.

11 MARZO 1999

Ho presentato un'interpellanza
ai ministri competenti.

Dicevo che o in giro per la Bassa
c'era una banda di assassini pedofili,

oppure bisognava capire cosa stessero
combinando i servizi sociali.

Quello che è accaduto a questi coniugi
può accadere a qualsiasi famiglia italiana

che può trovarsi improvvisamente
nella stessa situazione.

Un'interrogazione in Question Time
richiede da regolamento parlamentare

una risposta in tempi molto contingentati.

È considerata un'interrogazione d'urgenza.

Siamo nella situazione
in cui in questi quattro mesi

possono diventare quattro anni.

Possono diventare anche tutta la vita

per i genitori che perdono i loro figli
e per i figli che perdono i loro genitori.

Noi eravamo speranzosi.
Ci siamo detti: "Mamma mia!

Un senatore, un deputato
che ci ascoltano!"

Sembrava anche troppo, ecco.

SUL CASO RISPONDA IL MINISTRO

Il ministro Deliberto si presentò in aula
e chiese un termine di otto giorni,

argomentando e motivando
che non aveva ancora ricevuto

gli atti della Procura di Modena.

Io chiederei di poter dare una risposta
non superficiale e non di maniera,

ma semplicemente dopo aver assunto
tutte le informazioni necessarie

che io giudico indispensabili.

Per cui, le chiederei la possibilità
di poterci ritrovare tra una settimana.

SEI GIORNI DOPO

Ero appena tornata da scuola.

Sento suonare alla porta.

Erano i Carabinieri
con un avviso di garanzia.

12 ore prima che il ministro rispondesse

a Giovanardi e a Cortelloni.

Come l'onorevole Giovanardi,

anche io sono angosciato che la vita
di quattro bambini, di quattro fratelli,

da mesi separati,

mi auguro, ci auguriamo credo tutti,

non sia irreparabilmente segnata.

Ma questo pensiero

non deve farci dimenticare
i fatti tremendi

che l'accusa ha ipotizzato.

Colpo di scena.

I due coniugi
non solo non vigilavano sui bambini

ma erano loro stessi a fargli violenza.

Il ministro disse:

"Non posso più rispondere

perché a queste due persone
che tu hai incontrato

è stato mosso nei loro confronti
un'accusa molto grave.

BIMBI VIOLENTATI,
POLEMICHE E QUERELE

Qui iniziò l'indagine penale
nei loro confronti.

IL DIAVOLO TRA I CAMPI DI GRANO
VIAGGIO NEL PAESE DEI PEDOFILI

Ecco il nostro sogno svanito.

Le accuse contro di noi
erano basate sulle parole di mia figlia

sei mesi dopo che è stata portata via.

Questa bambina si era sciolta in pianto
con il suo affidatario

e confessò tra i singhiozzi.

Non erano più i suoi parenti,
gli zii e il prete a violentarla,

ad abusare di lei,

ma erano i suoi stessi genitori.

Improvvisamente, diventano dei demoni.

Ma crede che qualcuno
mi possa togliere dalla testa

che c'è stato un'improvvisa accelerazione

di determinate dinamiche?

Dal non saper spiegare
o non poter spiegare,

o non essere in grado di spiegare,

all'opinione pubblica

com'è possibile
che in un Paese civile come l'Italia

per cinque mesi, quattro minori
siano stati allontanati

senza che i genitori siano indagati?

Ecco, è stata subito spiattellata
la soluzione.

"Come non sono indagati?

Ieri, alle 18:30,
hanno avuto l'avviso di garanzia.

I violentatori sono loro.
Questa è l'accusa."

Il nostro sogno di riformare la famiglia
diventava sempre più irrealizzabile.

Sì, c'era solo da sperare in un miracolo
e basta.

- Buonasera, signora Lorena.
- Buonasera, Elisabetta.

Vediamo un bel pancione,
quindi siamo prossimi.

Sì, manca poco più di un mese
alla nascita del mio bambino.

Mi sono accorta di aspettare Stefano

nella primavera nel 1999.

Mi ricordo di quando lo dissi a Delfino
lui ne fu molto felice.

Quando venne in studio
e mi disse che era in gravidanza,

mi sentii quasi male.

Io già pensavo
a quello che poteva succedere.

Questo figlio, però, appena nato potrebbe
già non appartenere più ai suoi genitori.

Quindi, il suo potrebbe essere
un utero in affitto allo Stato.

Sì, perché potrebbe capitare

che anche questo ci venga sottratto

come ci sono stati sottratti
gli altri quattro bambini.

Ricordo benissimo una telefonata
di un medico dell'ospedale di Mirandola,

un ginecologo.

Mi disse: "Anto, non può capitare
di nuovo come è capitato con Scotta.

Sono venuti dall'ASL a dirci che,
appena Lorena viene a partorire qui,

noi dobbiamo portare via il bambino."

Nessuno a Massa Finalese e a Mirandola,

aveva dimenticato cosa fosse successo

a Federico Scotta
e a sua moglie Kaenphet l'anno prima.

Mentre Federico era sotto processo,
Kaenphet aspettava la loro terzogenita.

Venerdì 17 luglio 1998,
all'ospedale di Mirandola,

Kaenphet partorì con il cesareo
sotto anestesia generale,

mentre dei poliziotti tenevano Federico
isolato in una stanza a parte.

Nessuno dei due genitori
vide mai la bambina.

Non mi fai vedere neanche mia figlia.

Non dico tanto, ma almeno fammela vedere,
com'è nata, che viso ha. No.

La prendi e la porti via.

E poi, il vuoto.

E premetto che, in quel periodo,
Kaenphet non era neanche indagata.

In quel momento, mi sono detta:
"Adesso è finita."

Proprio, io... mi sono detta:

"Perché mi hanno portato via
anche questa figlia più piccola?

Lei non c'entra niente."

Ho pianto tanto
perché non era possibile...

Non è possibile...

Gli avvocati dissero che quel bambino
doveva nascere fuori dall'Italia.

E così, siamo partiti.

Abbiamo fatto la strada.

Siamo partiti che c'era un tramonto
magnifico, rosso, arancio.

Io l'ho ancora davanti agli occhi,
quel tramonto.

Mi dicevo: "Signore, aiutaci!"

Guardavo questo mio mondo,
questo mio Paese, che mi correva dietro.

Io mi lanciavo verso un nuovo paese.

Ero emozionata, ero commossa.

Avevo dei momenti in cui mi dicevo:

"Vado, chissà quando torno,
chissà chi incontrerò..."

Delfino avrebbe dato la vita

pur di non vedere suo figlio
in mano ai servizi sociali.

Io mi sono detta
che, anche se eravamo nella tristezza,

anche se eravamo nel dolore,

questo bambino non arrivava per caso.

PER TUTELARNE LA RISERVATEZZA
E L'INTEGRITA',

L'IDENTITA' DEI MINORI È STATA PROTETTA
ATTRAVERSO L'UTILIZZO DI NOMI DI FANTASIA