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Alla fine degli anni '90,

16 bambini furono portati via
dalle famiglie naturali

e non vi fecero più ritorno.

Seguirono 15 anni di processi controversi
passati alla cronaca come il caso

dei Diavoli della Bassa modenese.

Per tutelare
la riservatezza e l'integrità,

l'identità dei minori è stata protetta
attraverso l'utilizzo di nomi di fantasia.

Ti dispiace
se stiamo io e te soltanto qui?

Tu sai che c'è la telecamera.

- Sai anche che faccio il giudice
come mestiere. - Sì.

Io ho sentito che sarebbero successe
delle cose un po' particolari.

Delle cose un po' brutte, ecco.

Saresti in grado di dirmi qualcosa
di queste cose?

Te la senti?

Dimmi tutto.

Comincio dall'inizio o... ?

Dove vuoi tu. Io sono qui che ti ascolto.

Un giro di pedofili
che organizzava festini scattando foto...

Un mercato squallido, gestito dai genitori
di bimbi dai 4 agli 8 anni.

Incontri sessuali consumati
in abitazioni private

o in piccoli cimiteri di campagna.

È stato individuato
grazie ai racconti di bambini

ai medici e agli psicologi
della USL di Mirandola.

Nel processo,
sono emersi fatti ancora più gravi.

Bambini bruciati, schiacciati
e uccisi nelle bare.

Cari genitori,

voi, in tre anni e mezzo,
mi avete fatto del male.

Molto e io ho sofferto.

Però, adesso, soffrirete voi.

Nel 2015, il giornalista Pablo Trincia
si imbatte nel caso

e, dopo anni di inchiesta,
realizza il podcast "Veleno".

Perfetto, Pablo, partiamo.

Tra il 1997 e il 1998,
in due paesi dell'Emilia-Romagna,

16 bambini furono allontanati
dalle loro famiglie

e affidati ai servizi sociali della zona.

L'accusa era delle più gravi.

I genitori, i parenti e alcuni vicini

avevano abusato sessualmente
di loro per mesi,

coinvolgendoli in una lunga serie
di rituali satanici

all'interno dei cimiteri.

Gli adulti vennero condannati
a decine di anni di carcere

e non rividero mai più i loro figli.

I bambini crebbero in nuove famiglie
e non tornarono mai più a casa.

Voglio mia figlia!

I DIAVOLI MI FACEVANO MALE.

Io non credo mai più in una giustizia.

Non potevamo tollerare
che ci portassero via i bambini.

I nostri figli.

Sono capitata al telefono con la psicologa
e dice:

"Lei i suoi figli non li vedrà mai più."

Eravamo vuoti, eravamo senza niente.

Bisognava reagire comunque

perché loro avevano torto,
avevano già torto.

- La bambina aveva 9 anni...
- Mi manca.

- Quando...
- È la mia vita.

Se uno guarda dall'alto questa storia,
vede due schieramenti.

Da un lato, le famiglie coinvolte,

a cui vengono tolti i bambini.

Dall'altra parte,
gli operatori dei servizi sociali,

la magistratura, le psicologhe
e le famiglie affidatarie.

Ho visto, in questi anni,
una mistificazione della realtà.

Parlo soprattutto per questi bambini.

Perché penso a quanto dev'essere
per loro difficile

dover di nuovo ribadire la verità.

Non potersi distaccare mai
da questa vicenda.

Essere messi in piazza
con le loro cose più personali.

Siamo abituati a pensare
che, con i nostri figli,

ci sia un legame
che niente e nessuno può distruggere.

Ed è questo che fa paura di questa storia.

Perché metti in discussione la solidità
dei rapporti familiari.

Quanti bambini abusati, da grandi,
continuano a vivere in quel dubbio.

"Ma i miei genitori
mi avranno voluto bene veramente?"

La risposta è no.

Se vuoi la verità,
devi cercarla costi quel che costi.

Perché la verità la negano a me
e la negano ai miei figli.

Sentivo le lacrime scendermi.

Anche quando avevo voglia di urlare,

pensavo: "se urlo, cioè mi...

mi picchiano ancora più forte."

Io dico che ce n'è una, di verità.

Bisogna solo avere
il coraggio di accettarla.

VELENO

- Qual è il suo nome?
- Federico Scotta.

Perché non ha voluto
essere ripreso di spalle?

Non ho voluto essere ripreso di spalle
perché non ho nulla da nascondere.

Non ho paura di essere ripreso.

- Quanti anni ha?
- 26.

- Lei lavora?
- Io, no.

Sono disoccupato, sì.

È stato licenziato?

Sono stato licenziato per questo motivo,
nato nel 1997.

- Dove abita?
- Abito in un camper.

- Come mai?
- Perché questa causa mi ha rovinato.

Non ho più potuto pagare un affitto
per mantenere una casa.

Vai, vai, su!

Lei vede un futuro
per sé e per i suoi figli?

Sì, un futuro abbastanza lontano
per una causa che sarà lunga.

Però, penso sicuramente che, prima o poi,
potremo rivedere e riavere i nostri bimbi.

Il 1997.

Era l'anno che questa vicenda,
o meglio una serie di vicende intrecciate,

iniziarono a convergere
in un'unica storia,

per poi emergere pubblicamente.

All'epoca, un ragazzo 22enne

di nome Federico Scotta

era sposato

con la giovane Lamhab Kaenphet.

Avevano due figli, Elisa, di tre anni
e Nino, appena nato.

Vivevano a Mirandola,

una cittadina di provincia
della Bassa modenese,

nel cuore dell'Emilia.

Federico era impiegato
in un'azienda biomedicale.

Mentre Kaenphet faceva la casalinga.

7 LUGLIO 1997

Il 7 luglio 1997, alle 4:30 del mattino,

sentiamo suonare il campanello.

Si alzò Kaenphet
e andò a rispondere al citofono.

Fuori alla porta,
c'erano due o tre poliziotti.

Mi sono detta: "O Dio, cos'è successo?"

Hanno detto:

"Dobbiamo perquisire la casa."

Ho detto: "Va bene,
ma posso sapere cos'è successo?"

Non hanno detto nulla in quel momento lì.

L'ispettore Pagano ci fece solamente
vedere il decreto di perquisizione

ma non ci spiegò
perché stava perquisendo casa nostra.

Spostarono i mobili,
ribaltarono dentro e fuori gli armadi.

Nel materasso, sotto il materasso.

Dentro i giochi dei bambini.

Insomma, andavano a rovistare
da tutte le parti.

Poi trovarono le fotografie
in cui eravamo tutti assieme.

E ci dissero:
"Queste le dobbiamo sequestrare."

Mi chiama mio fratello alle 7.

Ero ancora a letto quel giorno,
dovevo andare a lavorare.

Mi dice:
"È successa una cosa allucinante.

Mi hanno detto di seguirli.

Ci hanno ribaltato tutta la casa,
hanno cercato delle prove.

Hanno parlato
di intercettazioni telefoniche.

Ma non riusciamo a capire
il perché di questa cosa."

Gli dico: "Ma non è possibile,
cos'è successo?"

E lui dice: "Guarda, non lo so.

Siamo qua, stiamo aspettando,
e non saprei dirti."

Alle 8, siamo arrivati in commissariato.

Viene giù l'ispettore Antimo
dicendoci di salire al piano superiore

perché ci dovevano notificare un atto.

Allora, io e mia moglie ci guardammo.

Dicevamo: "Vai prima tu e poi vado io,
oppure prima io e poi tu."

E Antimo Pagano ci disse:
"No, dovete salire tutti e due."

C'era questo tavolo
dove c'era il questore

e un responsabile del servizio sociale
di Mirandola.

Lui disse:

"C'è qui un decreto
del tribunale dei minori

nel quale,
in via del tutto urgente e provvisoria,

si dispone l'allontanamento
di Elisa e di Nino."

È bruttissimo, bruttissimo.

Perché io volevo uscire.

Volevo uscire e andare a vedere
dov'erano i miei figli.

Non ti fanno uscire, no.

Dicevo: "Io non firmo niente

e poi voglio capire esattamente
che cosa succede."

"C'è un bambino che ha fatto
delle rivelazioni alla psicologa

dicendo che voi avete portato
i vostri figli...

a essere abusati per far delle fotografie
che vengono messe su Internet."

Quando tornammo giù dai nostri figli,

era rimasto solo il passeggino vuoto.

Usciti dal commissariato,

Federico e Kaenphet incontrarono
una donna in lacrime.

Francesca, la loro vicina.

La Polizia aveva fatto irruzione
nella sua casa

alla stessa ora del mattino.

Le accuse erano le stesse.

Anche sua figlia Marta, di otto anni,
era stata allontanata dai servizi sociali.

Francesca era un'amica.

Era una figura importante a livello
di amicizia per me e per Kaenphet.

Vederla lì, sentire che anche a lei
è capitata la stessa identica cosa...

Sono rimasto sconvolto.

Francesca era una giovane donna del sud.

Separata dal compagno, aveva
questa bambina che manteneva da sola.

Quindi, quando sono subentrate le accuse,
era disperata.

Loro non ci davano
delle spiegazioni concrete.

Quindi, per poterle avere,

Federico decide di attivarsi e di chiamare
tutti i giornali che conosceva.

Di lottare con tutte le sue forze
per poter avere delle risposte.

Protestano e si proclamano innocenti

perché, dicono, con la pedofilia,
loro non c'entrano.

Sono marito e moglie,
lui 23 anni, lei 22,

ai quali sono stati sottratti la figlia
di tre anni e il figlio di sei mesi.

Con loro una 44enne, alla quale
è stata tolta la figlia di otto anni.

Io sono pulita e mia figlia è pulita.

Io non mi muovo di qua
finché non mi danno mia figlia.

CI TAGLIAMO LE VENE.
LE MADRI DAVANTI AL COMMISSARIATO.

Noi vogliamo di nuovo
avere i nostri bambini a casa con noi

perché ci sono stati tolti ingiustamente.

Ci arrivarono le voci di questo sit in.

E ci occupammo di loro,
non dico giornalmente, ma quasi.

Perché ogni giorno
rivendicavano la loro innocenza.

E, di conseguenza,
si raccontavano tante cose.

E, quindi, noi scrivevamo
quello che era il loro racconto.

I giornalisti del posto
cercarono di capire le circostanze

che portarono
all'allontanamento dei bambini.

Scoprirono che la famiglia Scotta
era seguita dai servizi sociali

già dalla nascita di Elisa,
tre anni prima.

Era una situazione molto complicata.

Federico raccontava che nel 1994

una signora thailandese,
sentendo loro parlare in thailandese,

entrò nella conversazione.

Poi, da lì, nacque un rapporto
che pareva, inizialmente, di amicizia.

Poi, la signora thailandese
voleva che Kaenphet si prostituisse.

Io ho rifiutato, ho detto:
"Non faccio quello che vuoi tu.

Non voglio più farlo.

Non lo faccio, non lo faccio."

Lei voleva tenermi tutta per sé.

Allora, quando è nata Elisa,
ha fatto del male a mia figlia.

Quando sono tornato a casa la sera,

ho visto che la bambina era strana
e mi sono preoccupato.

Non stando tranquillo,

la prima cosa che feci

fu prepararla
e portarla al Pronto Soccorso.

Volevo sapere dai medici che cosa avesse.

Dopo mi hanno detto che questa signora
scaraventò la bambina contro il muro.

La neonata presentava
un totale di 12 fratture.

Una frattura cranica, una al femore,
una al radio e nove fratture costali.

In seguito, i servizi sociali
allontanarono temporaneamente la bambina.

La affidarono
a un'altra famiglia di Mirandola.

Ma nel maggio del '97, dopo tre anni,

Elisa era tornata a vivere definitivamente
con Federico e Kaenphet.

Dopo il rientro di Elisa,

per noi era un capitolo chiuso
quello che era successo prima.

Quindi, chiaramente,
noi non pensavamo mai

che sarebbe successo, di lì a breve,
un qualche cosa.

PROCURA DELLA REPUBBLICA

La protesta
davanti alla Questura di Mirandola

arriva dopo un blitz comandato
dal sostituto procuratore di Modena,

Andrea Claudiani,
che ha tolto alle famiglie i tre bambini.

Il sospetto è di abusi sessuali
su minori di dieci anni.

L'indagine era partita due mesi fa,

dopo le confessioni
di un bimbo di otto anni.

Non capivamo
che cosa ci stava succedendo.

Tutti quanti ci siamo chiesti

chi fosse questo bambino
che aveva raccontato queste cose,

perché noi non conoscevamo nessuno.

Noi brancolavamo completamente
al buio di tutto questo.

Federico, in quel momento,

cercava anche dagli organi di stampa
delle notizie ulteriori.

Forse per riuscire
a comporre meglio il quadro

che lo riguardava in quel momento.

Proprio il bambino di otto anni
avrebbe raccontato agli inquirenti

episodi sconcertanti.

Non riuscivamo a capire

come mai questo bambino
faceva queste dichiarazioni.

SONO ESTRANEO AL GIRO DEI PEDOFILI.

In automatico, ti veniva quella rabbia,

di capire con chi e con cosa
dovevo combattere.

A 20 km da Mirandola,

situato tra una rete di canali
e terreni agricoli,

c'è un paese molto ordinario,
Massa Finalese,

dove il tempo sembra non passare mai.

È qui, in questa salda comunità,
che hanno origine i problemi di Federico.

Le accuse contro di lui,
come apprenderà poi,

sono legate alla situazione disperata
di una delle famiglie più povere di Massa.

I Galliera. Madre, padre, figlio e figlia.

Negli anni '80,
se l'erano cavata a malapena,

con l'aiuto di associazioni caritatevoli
e l'assistenza sociale.

Ma la situazione degenerò
quando, nel 1990,

nacque un terzo figlio, Dario Galliera.

Io avevo 13 anni quando è nato Dario.

È stata un'emozione grande,
anche se dicevo alla mamma:

"Hai aspettato un po' tanto
per farci un altro fratello."

Però, sì, la prendevo un po' in giro
in un modo buono.

I miei genitori sono sempre stati
dei genitori bravissimi.

Mio padre è sempre stato un buon padre,

anche se la gente
non lo vedeva di buon occhio.

Dicevano
che lui non aveva voglia di lavorare.

- O che era senza soldi.
- Sì, senza soldi.

Era visto male, una persona povera
a Massa era vista male.

Ci hanno chiamato
"famiglia di disastrati",

Abbiamo fatto tanta fame, tanta, tanta.

C'erano di quei momenti
che ti veniva voglia di impiccarti.

Il problema era l'affitto troppo alto.

Per questo,
mio padre non riusciva a pagarlo.

O pagavi l'appartamento o mangiavi.
Come facevamo?

Poi purtroppo ci hanno dato lo sfratto.

Mi ricordo solo queste persone
che calavano giù i mobili

e i miei genitori che piangevano.

Abbiamo fatto
il giro di tutti i parenti per...

per poter lasciare mio fratello.

Perché non volevamo che ce lo togliessero.

Però, nessuno si è preso la responsabilità
per mio fratello.

Solo Silvio, con Oddina.

Romano Galliera lo conoscevo bene.

Una famiglia un po' strana.

Figli altrettanto,
hanno copiato il padre.

Anche Ivan una volta, mi ha detto:

"Perché andare a lavorare? Non lavora
mio padre, sto a casa anche io."

Questo qua era... capito?

La famiglia Galliera.

Se non c'eravamo noi,
io, la Caritas o il prete, Don Giorgio,

nessuno gli dava più niente.

Mia madre ci ha sempre dato
questo esempio.

Aiutare chi ha bisogno

perché noi abbiamo sempre avuto tanto.

Per cui, quel tanto che avanzava
è sempre stato distribuito

a chi non ne aveva.

Infatti, in casa mia,
c'era sempre di tutto e di più.

Se c'era qualcuno fuori che aveva fame,
e veniva in casa, ce n'era anche per lui.

È stata una sorpresa
quando sono tornato a casa un giorno

e mi sono trovato qua Debora e Dario.

Loro vivevano in macchina.

Avevano la 126,
erano in tre a dormire dentro.

La prima settimana è stata un po' strana,

perché ci dovevamo conoscere.

Però, si è adattato bene.

Mio padre lo faceva ridere.

Lo prendeva sulle spalle.

Gli nascondeva le caramelle nelle tasche.

Faceva questi giochi di prestigio
e a lui questo piaceva molto.

Dopo 20 giorni, ha cominciato
a saltarmi addosso, a parlare.

Anche a scuola, i maestri dicevano
che aveva fatto un grosso cambiamento.

Poi ha cominciato a mangiare
le bistecche, le minestre.

Mi sa che le bistecche,
le aveva viste poche volte.

Era diventato molto molto simpatico.

25 DICEMBRE 1993

La palla!

Abbiamo passato il Natale insieme.

Parenti, non parenti, la sorella di Oddina
le nipoti, tutti quanti.

Mia madre, mio padre
e mio fratello Dario.

O Dio!

Ma che bello, rosso!

Faglielo vedere.
Alza la mano, fammelo vedere.

Aveva ricevuto la Ferrari,
poi altre cose, vestitini, tutine...

Era bello. Un bellissimo Natale.

- Buon Natale.
- Buon Natale.

- E grazie.
- Ciao!

Noi onestamente pensavamo

che quando gli assistenti sociali
avessero preso visione della situazione,

si ricredessero e dicessero: "Alla fine
dei tre mesi, avete fatto un buon lavoro.

Per cui, lo potete tenere
e noi usciamo di scena."

Questa era l'idea che ci eravamo fatti.

Oddina aveva chiesto di poterlo tenere.

Loro hanno detto
che doveva fare il suo percorso

e che non potevano lasciarcelo.

Il 26 dicembre, la mattina,

l'assistente sociale
ha bussato alla porta.

Era molto fredda e sbrigativa.

Ci ha detto subito:
"Preparate e vestite il bimbo.

Salite in macchina e seguitemi,
ci stanno aspettando a Reggio Emilia."

E così abbiamo fatto.

Lo abbiamo vestito bene.

Ha messo un cappotto,

la sciarpa perché faceva freddo,
il suo cappellino di lana.

Lo voleva portare lei,
allora ho detto di no.

Visto che era l'ultimo giro
che facevo con Dario,

l'ho portato qui davanti
al cenacolo francescano.

Era tutto scombussolato,
non ha capito cos'era successo.

"Dario, vedrai che vai là e stai bene."

Ma non lui era tanto convinto.

Neanche lui ci voleva lasciare.

Così, è stato ancora più...

più doloroso.

Mi sono fermato davanti al portone.

È uscita la suora, l'ha preso,
ma non è che ci ha parlato.

È entrato, ha chiuso il portone.

Tutto finito.

È stata una grossa delusione.

Romano Galliera si sentiva preso in giro
dai servizi sociali.

E tutti i giorni
andava a chiedere spiegazioni a Mirandola.

La famiglia Galliera
era qua tutti i giorni.

Tutti i giorni a chiedere aiuto.

A cercare il modo
di farlo rientrare a casa.

Quando siamo stati
nella macchina a dormire,

ci siamo fatto 500 parrocchie.

Da Finale fino a Verona, per dire.

Don Giorgio
è stato l'unico a darci una mano.

Don Giorgio Govoni è un prete carismatico
e fuori dal comune.

Aveva messo a disposizione dei Galliera
una casa umile in via Abba Motto,

pochi chilometri fuori Massa Finalese.

Non pagava neanche l'affitto,
era fortunato.

C'era da mettere
il riscaldamento d'inverno.

Aveva una stufa che faceva fumo in casa.

Tutte le pareti
erano di un grigio scuro di fumo.

E viveva lì dentro, pensa te.

Delle volte, andavo lì
e non riuscivo nemmeno a respirare.

Quando non diceva la messa,

Don Giorgio si dedicava alla sua
associazione caritatevole, il Porto.

Forniva vitto e alloggio a immigrati
e persone bisognose di un posto.

Il suo supporto fu decisivo

per garantire la sussistenza ai Galliera
nei momenti più difficili.

Mio padre non amava molto i sacerdoti,
ma amava Don Giorgio.

Il problema era sempre
il fatto che non c'era mio fratello.

Veniva una volta al mese da noi.

Stava un po' con noi,
uno o due giorni, adesso non ricordo...

Due giorni, il weekend.

Poi venivano a prenderlo
e lo portavano via.

Dal suo allontanamento,
il giorno di Santo Stefano,

Dario trascorse alcuni mesi
al cenacolo francescano di Reggio Emilia,

una comunità di accoglienza.

Poi, venne affidato
a una famiglia della zona.

Noi l'abbiamo conosciuto
il primo giorno di primavera.

Lui aveva cinque anni,
sembrava un piccolo folletto.

Biondo, con i capelli a caschetto,
gli occhiali.

Ho questa immagine di questo bambino.

Lui aveva già cominciato
a dare dei segnali di insofferenza.

Quando rientrava
dalla sua famiglia di origine,

tendeva a non raccontare
quello che aveva fatto.

La notte non riusciva a dormire.

La mattina, raccontava di aver avuto
degli incubi paurosi.

Sinceramente, non capivamo
il perché di questo atteggiamento.

Mi ricordo che la psicologa
ha cominciato anche a vederlo,

per capire da cosa era scatenato
questo malessere,

che era molto evidente.

La psicologa era la dottoressa Donati.

Donati Valeria.

Mi sono trovata di fronte
un bambino molto molto sofferente.

Manifestava tantissimo a livello fisico.

Ma aveva dei momenti
di assenza prolungata in cui si isolava.

Aveva dei cali di rendimento scolastico.

Cioè, veramente...
Aveva delle manifestazioni fortissime.

Aveva il terrore di rientrare
presso i suoi genitori naturali.

Ed è cominciato così.

Le prime volte che ho raccolto
le prime dichiarazioni è stato tremendo.

È stato devastante.

Nel nostro ordinamento, c'è un obbligo.

Dovevamo segnalare
tutto ciò che costituiva notizia di reato.

Eravamo obbligati e abbiamo segnalato
questa cosa alla Magistratura.

Cosa fa il giudice?

Il giudice mette in galera

le persone cattive...

No, i poliziotti li mettono...

Esatto...

Direi che possiamo cominciare.

Il motivo per cui siamo qui oggi
tu lo conosci.

Tu hai parlato,

hai raccontato ai grandi delle cose
che hanno molto preoccupato i grandi.

Questo lo sai, ok.

Ti faccio queste domande

perché dall'altra parte della telecamera

ci sono delle persone
che non sanno queste cose.

Per capire, hanno bisogno di saperle.

Dovremmo essere il più precisi possibile.

- Ok?
- Sì.

Allora cominciamo...

Non era un bambino
che andava sollecitato a parlare.

È un bambino che cercava aiuto.

Era ipersensibile.

Si preoccupava per tutti.

Non voleva far del male a nessuno.

E però...

Chiedeva di essere aiutato, questo sì.

- Senti, ti posso fare una domanda?
- Sì, se vuoi.

Ma io sarei curioso,
perché sono un po' curioso io,

di sapere come stavi invece
quando stavi a Massa.

- Male!
- Cioè? Come mai?

Come mai stavi male a Massa?

- Perché mi facevano quelle cose.
- Cioè?

Ci sono stati dei dettagli che ricordo
come se me li avesse raccontati ieri.

Non si possono più dimenticare
perché erano molto molto forti.

- Hai detto che ti hanno portato
nella camera? - Sì.

- Chi?
- Ivan.

- Chi è che ti ha portato?
- Prima Ivan.

Chi è Ivan?

- Mio fratello vero.
- Tuo fratello vero.

Mi sono anche spaventata in certi momenti
da quanto era...

Come se si sentisse senza via d'uscita,
senza una possibilità.

Io una sofferenza tale
in un bambino così piccolo...

Non l'ho più rivista.

Un giro di pedofili
che organizzava festini

scattando foto alle vittime
delle loro violenze.

Una brutta storia nella Bassa modenese
su cui la Procura ha aperto un'inchiesta,

rivolta soprattutto verso una famiglia
con gravi problemi di disagio sociale.

Un bambino di otto anni
ha avuto la forza di parlare.

È ciò che sta emergendo
dall'indagine della procura di Modena

dopo l'arresto di un uomo di 50 anni
e del figlio 22enne,

accusati di aver abusato sessualmente
del figlio minore di otto anni.

Quando sono venuti
a portar via me e mio padre,

ho detto: "Ma voi siete malati di mente...

Tutti!"

Arriva un agente e mi fa:

"Guarda, ti abbiamo dato come avvocato
Pier Francesco Rossi."

Per me, un avvocato vale l'altro.

Entra Ivan
e lo vedo completamente spaesato.

Era giovanissimo,

era magrissimo, curvo su se stesso.

Gli chiedo se effettivamente
questi fatti erano avvenuti.

Mi ricordo che negò tutto questo.

VIOLENZA CARNALE SU UN BIMBO.

Dario sarebbe stato, secondo il racconto,

penetrato da Ivan, dal papà Romano

e anche da altre persone.

Un fenomeno di prostituzione minorile.

Da quasi un anno, si svolgerebbero
festini a luci rosse con minori

che sarebbero anche stati fotografati.

Determinante per far venire
alla luce questa realtà,

il ruolo degli assistenti sociali
di Mirandola,

che per primi hanno raccolto
la testimonianza del minore

denunciando il caso
all'autorità giudiziaria.

Il bambino sa che queste sono delle cose

che non dovrebbero capitare,
che non dovrebbero essere fatte.

E, di conseguenza, pur non avendo
una responsabilità come minore,

sente dentro di sé
un grosso senso di colpa

per quello che succede.

Il fratello maggiore
si trova agli arresti domiciliari,

il padre è in carcere.

Ci sono delle persone
che hanno responsabilità gravi

e ce ne sono altre
che hanno responsabilità diciamo...

Molto meno...

Quindi, c'è da valutare.

COMPLOTTO? NO.
HA PAURA, E ORA RACCONTA.

Il tribunale chiese
che venisse verificata questa circostanza,

cioè se ci fossero segni compatibili.

E le conclusioni,
ve le leggo, sono queste.

"Il minore di anni 7

non presenta segni od esiti
di violenze traumatiche e/o sessuali."

NON C'È TRACCIA DI VIOLENZA.

GLI ESPERTI:
FORSE È PASSATO TROPPO TEMPO.

Ci sono state, ovviamente,
delle indagini specifiche della Polizia.

E poi il bambino è stato...

sottoposto a riconoscimento fotografico.

Gli è stato chiesto dal magistrato
di riconoscere alcune fotografie.

E ha individuato alcune persone.

Siamo partiti
da degli abusi intrafamiliari

ad altre persone.

Lui ha parlato inizialmente di due bimbe.

Una di nome Elisa e una di nome Marta.

Tra l'altro,

ricordava degli episodi
a carico di queste bambine molto pesanti.

Dario faceva delle domande.

Mi chiese se i cinesi hanno gli occhi...

Non ricordo più se verdi,
i dettagli non li ricordo più bene.

Però, era una domanda molto particolare.

Per cui quando
poi lui descrisse questi bambini,

io gli chiesi se mi aveva fatto
quella domanda

in relazione a una di queste bambine.

Perché una di queste bambine,
io l'avevo vista,

e ricordavo che aveva
questi tratti somatici un po' particolari.

E lui mi disse di sì.

Quindi, questa cosa, io gliel'ho chiesta.

Lei che pensa?

Che veramente suo marito

possa aver portato
la vostra bambina a fare queste cose?

Io penso che mio marito
non ha mai fatto cose simili.

Non ha mai fatto niente
alla nostra bambina.

- Poi non ha mai visto quel bambino lì.
- Quello che ha parlato?

Sì, quello che ha parlato,
noi non lo abbiamo mai visto.

Neanche mio marito.

Noi combattiamo

perché non c'entriamo
niente con questa storia.

Quando è stata accusata Francesca,
il suo carattere è cambiato radicalmente.

Era disperata.

Era assurdo,
sembrava di viaggiare in un incubo.

Di essere entrati in un brutto sogno
dal quale non si riusciva a venire fuori.

Francesca apparentemente
era una persona forte.

Ma dentro aveva una grande fragilità.

Era una mamma,
una mamma legata a sua figlia.

Volevamo in tutti i modi
cercare di riuscire a combattere

per avere i nostri figli.

Quell'estate, Federico e Francesca
cercavano ossessivamente di scoprire

dov'erano stati portati i loro figli.

I servizi sociali di Mirandola
si rifiutavano di dare risposte in merito.

Disperati, i genitori si rivolsero
al Tribunale dei minori di Bologna,

l'istituzione che aveva emesso
il decreto di allontanamento.

Lì, riuscirono ad accedere
ai fascicoli del loro caso.

Entrammo dentro
e Francesca chiese il suo fascicolo.

Era un affare grosso così.

Io chiesi il mio.

Come lo aprimmo,
c'erano dei post-it gialli.

Su questi post-it gialli,

c'era scritto dov'erano i nostri figli.

CENACOLO FRANCESCANO

Quindi partimmo
e andammo al cenacolo francescano.

Aveva una recinzione
coperta da una specie di telone verde,

dove, forse destino, forse fatalità,

ci siamo fermati noi con la macchina
c'era un buco.

Francesca sentì la voce di sua figlia.

La chiamò e le lanciò questo pupazzo,
a cui era legato un bigliettino.

C'era scritto: "La mamma ti vuole bene
e ti vorrà sempre bene."

Nel frattempo,
arrivò fuori dalla struttura una suora,

cominciando a offenderci, a minacciarci

e a urlare dicendo
che dovevamo andare via.

Ci fece allontanare,
noi prendemmo la macchina

e ritornammo verso Mirandola, verso casa.

Da lì a breve,
arrivarono nove pattuglie della Polizia

perché avevamo inquinato le prove.

AVEVANO CONTATTATO I FIGLI.

Successivamente, dopo un paio di giorni
andavo agli arresti domiciliari.

SETTEMBRE 1997

Settembre fu un mese irrequieto.

Confinati nelle loro case,

Federico e Francesca
guardavano tutti i notiziari

in cerca di aggiornamenti.

Dai giornali locali e dal Televideo
scoprirono che le loro figlie

erano state sottoposte a visite mediche
condotte da due esperti.

La ginecologa,
la dottoressa Cristina Maggioni,

e il proctologo, il dottor Maurizio Bruni.

La visita medico-legale di un minore
sospetto di abuso

serve, a mio giudizio,

a verificare, e talvolta a smentire,
l'ipotesi di un atto di abuso.

Utilizzai la metodologia
proposta da autori anglosassoni.

Visita non invasiva
di visita solamente per visione

il riscontro durante la visita
tramite macchina fotografica

di ciò che poteva essere visibile.

Ricordo l'immagine, il quadro,
se posso usare un termine non scientifico,

il quadro disastrato

fra i tanti che ho visto,

sia come dilatazione anale,
sia come irregolarità del margine.

Potevo riscontrare dei segni fisici

riconducibili ad atti di abuso.

GRAVI ABUSI SU UNA BIMBA DI 8 ANNI.

RISCHIA IRREPARABILI LEZIONI
AI GENITALI.

Marta e mia figlia Elisa
avevano subito violenze sessuali

che avrebbero potuto compromettere
la loro vita futura.

È scattata la rabbia
perché com'è possibile?

ULTIM'ORA - CONFERMATI I RISCONTRI
DI ABUSI SU MINORI A MIRANDOLA.

Nell'apprendere questa notizia,

avevo capito la situazione
che i bambini non li avremmo più rivisti.

Avevamo appena finito di pranzare,
quindi erano le 13:30 o le 14,

arriva la telefonata di Francesca.

Io ho risposto e, dall'altra parte,

lei diceva con una voce un po' strana :

"Io senza mia figlia non posso stare,
non posso vivere.

Continuate voi a combattere
perché io non ce la faccio."

Io quando ho sentito così...

Lei poi ha buttato giù il telefono,

ho sentito subito
che c'era qualcosa che non andava.

Sconvolta da un'accusa atroce,

aver ceduto la figlioletta
a un giro di pedofili,

una donna di Modena si è uccisa

dopo aver detto più volte:
"Sono innocente."

È stato il rimorso
a spingerla giù dal sesto piano?

O l'ultimo disperato tentativo
di riaffermare la sua innocenza?

Forse, non lo sapremo mai.

Quando ho saputo
che Francesca si era suicidata...

È stata una notizia terribile,
è stato un dolore immenso.

Francesca era così disperata
perché aveva capito

che non sarebbe riuscita a recuperare
il rapporto con sua figlia.

Senza i bambini, un genitore è perso.

Sente di non avere più niente.

Sente di aver perso tutto quello
che poteva dare un senso alla vita.

Ti voglio bene.

In me, ha lasciato un vuoto,
la morte di Francesca.

Come se perdi una parte di te.

GENNAIO 1998

INIZIA IL PROCESSO DI PRIMO GRADO
A MODENA.

PALAZZO DI GIUSTIZIA

Il processo durò tre mesi.

I PM montarono un enorme caso
che comprendeva più accuse.

In primo luogo, gli abusi sessuali
su Dario in ambito domestico,

compiuti dal padre Romano
e dal fratello Ivan.

Inoltre, lo stesso Romano,
insieme alla moglie Adriana,

erano accusati di aver organizzato
dei festini sadomaso

in cui in bambini
sarebbero stati abusati sessualmente

e fotografati in cambio di denaro.

Non furono mai rinvenute,
queste transazioni di denaro

di cui si parlava.

E si parlava, perché il bambino
riferiva di essere stato filmato,

non vennero mai rinvenuti
fotografie e filmati del bambino.

L'accusa ipotizzava il coinvolgimento
di Federico Scotta e Francesca Ederoclite

durante questi festini,

in cui entrambi avrebbero fatto
prostituire i propri figli.

L'impianto accusatorio
era basato principalmente

sulle testimonianze rese da Dario

e sulle prove medico legali.

Tutti gli imputati, tranne uno,
si dichiararono innocenti.

Ivan ammise qualche atto sessuale
compiuto con il fratello,

seppure in maniera scherzosa.

Cos'è che dichiarò Ivan?

"Effettivamente, alcune delle cose
riferite da Dario sul mio conto,

sono in parte vere.

Altre sono invece false.

È vero che io e Dario
ci siamo toccati reciprocamente il pene.

Ma è stato lo stesso Dario a chiedermelo."

Poi, negò le frequentazioni
con gli altri personaggi,

all'epoca coindagati.

Negò di aver assistito a episodi sessuali

in cui era coinvolto il fratello minore,

commesse da terze persone
al di fuori del nucleo familiare.

Ammise solamente
che avvennero degli scherzi,

dei toccamenti con la sorella Debora

perché dormivano nello stesso letto.

Disse: "Ma ho smesso subito di farlo,

poiché mia madre mi ha rimproverato."

Il mio male me lo sono tirato addosso.

E, ormai, non posso più tornare indietro.

Non c'è una macchina del tempo
che mi fa tornare indietro

e cambiare la mia versione.

Ho fatto la scelta di patteggiare

perché non volevo farmi sette anni
di galera da innocente.

Allora, ho patteggiato
la colpa che non ho.

La prima cosa che mi è saltata in mente
l'ho detta, capito?

È stato anche uno sbaglio.

Sei condanne su sette imputati.

È finito così a Modena
il processo per la vicenda di pedofilia

scoperta circa un anno fa

tra la Bassa modenese
e la Bassa ferrarese.

Il maggior accusatore
era stato un bambino di soli sette anni.

La sentenza sul caso di pedofilia

avvenuto nella località
della Bassa modenese ferrarese

è stata letta nel tardo pomeriggio.

Romano Galliera
dovrà scontare 12 anni di reclusione.

Quattro anni sono stati inflitti
al figlio maggiore Ivan.

Sette alla moglie Adriana Ponzetto.

12 anni anche a Federico Scotta.

I genitori hanno perso
la potestà dei figli.

Prendo atto con soddisfazione
sul piano professionale

che il lavoro mio, della Polizia di Modena
e di Mirandola e della USL di Modena

è stato ritenuto valido dai giudici.

Nient'altro.

Io, la mia vita l'ho messa in piazza.

Sono stato oggetto di discussione,
anche di confronti.

Di tante cose.

Chi mi conosceva
e si ricorda ancora oggi di me

e sa come sono fatto,

sa che non ho niente da nascondere.

C'era chi la pensava in un modo

e c'era chi diceva:
"No, tu per me sei innocente."

"Combatti, vai avanti.

Non devi aver paura di niente.

Fino al terzo grado,
sei considerato innocente.

Vedrai che la verità,
la giustizia, verrà fatta."

Federico, come si proclama?

Innocente dal 1997 e continuerò
a proclamarmi innocente finché vivo.

A seguito della condanna in primo grado,

Federico rimase libero
in attesa del processo d'appello.

Non ho mai gioito delle condanne.

Io non ho mai lavorato
perché le persone venissero condannate.

Non era il mio compito.

Il ricordo più forte che ho è il sollievo
quando si è concluso il processo

e il sollievo di pensare che era finito.

Mi sono rilassata e ho pensato:

"Adesso torno alla normalità."

In quel periodo, mai avrei immaginato

che Dario dicesse
tutte le altre cose che ha detto.

Ha cominciato a raccontare di questi abusi
avvenuti in scenari particolari.

Tipo lo scenario cimiteriale.

Con anche persone mascherate,
cose di questo tipo.

Però, sinceramente non avevo realizzato

che da quello potesse partire
un'altra indagine.

Un altro processo, un altro...

L'ho realizzato davvero

nel momento in cui la dottoressa Avanzi
aveva una paziente

che raccontava quel genere di cose.

Era veramente strano,

una bambina che non era mai venuta
in contatto con i bambini che vedevo io.

Era in un altro servizio,
con un'altra collega,

che non era a conoscenza
dei dettagli della nostra situazione.

Il fatto che raccontasse
e descrivesse scenari simili

Lì, ho realizzato
che sarebbe stata una cosa...

forse anche più grossa di noi.