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Il mio lavoro consiste
nel raccontare storie.

Però...

Io sono sempre stato abituato
a prendere una storia, trattarla

e cambiare pagina.

Però, in questo caso,
è un po' come quando ti innamori.

Vuoi conoscere quella persona.

Vuoi vivere quella relazione a fondo.

Ecco, io ho provato
la stessa cosa per questo caso.

Io volevo fare un podcast,
una serie audio di varie puntate,

che aveva a che vedere con il satanismo.

Leggo questo articolo,

"Pedofilia e abusi rituali satanici
assolti dopo 16 anni."

Era il 5 dicembre 2014.

Lì ho pensato:
"Porca miseria, che storia!"

Ma volevo prima andare a vedere.

Quindi, decisi di andare
a parlare con i Panzetta,

la famiglia che aveva accolto Dario
prima che fosse portato via.

Questa era Oddina?

Sì, è lei, quando era giovane.

- Questo è Dario?
- Sì.

- Come mai l'avete tenuta qua, la foto?
- Per ricordarsi.

Insieme con Padre Pio.

Silvio mi ha dato accesso
ai materiali di archivio di Oddina

che teneva in soffitta.

Urca!

- Qui, ce n'è di roba.
- Mamma mia!

Tutta questa storia si era basata
su ciò che i bambini avevano raccontato.

Quello era il cuore della vicenda.

Io sapevo che c'erano dei video
di questi incidenti probatori,

di queste audizioni protette.

Però, non sapevo come trovarli.

Il fatto di avere questo materiale,
ritrovarlo all'improvviso lì,

è stata una sensazione
che mi ha dato proprio i brividi.

Quello che mi hai detto prima...

La cosa che mi colpiva molto
guardando quelle videocassette

era l'atteggiamento dell'adulto.

Era quello di farsi raccontare
quello che il bambino aveva vissuto,

senza però soffermarsi
su alcuni degli aspetti più assurdi.

Mi facevano uccidere dei bambini piccoli.

Ah ecco, ti facevano uccidere dei bambini.

Come si è arrivati a fare quei racconti?

Chi ci ha parlato? Come ci ha parlato?

A me, l'immagine
che veniva più spesso in mente

era un bicchiere d'acqua
nel quale versi dell'inchiostro.

Cominci con qualche goccia,
poi ne versi un po' di più,

l'acqua diventa nera.

E tu non distingui più
l'acqua dall'inchiostro.

Non si può tornare indietro.

VELENO

Aveva sulla testa l'accusa
di aver molestato sessualmente...

Se io non mi sentivo...

Quando mi hanno dato 16 anni,
mi sono detto: "Ma che sta succedendo?"

Quando ho iniziato ad affrontare
questo caso,

volevo capire per quale motivo
queste persone erano state condannate.

Quindi sono andato ad incontrare
Pier Francesco Rossi,

l'avvocato di Don Giorgio Govoni,

per fargli delle domande.

E praticamente mi introdusse lui

al tema degli altri casi
che erano avvenuti nel mondo.

È stato impressionante scoprire
quanto questa storia,

che all'inizio sembrava una strana storia
della provincia,

unica e irripetibile,

fosse in realtà parte
di un fenomeno gigantesco.

Era una cosa ricorrente.

Da Los Angeles al Texas.

Al Wisconsin, alla Francia.

E in Italia,

Andiamo a Zocca, nel modenese,
per una brutta storia di satanismo

e, purtroppo,
anche di violenze sessuali sui minori.

Che i dintorni di Roma siano diventati
uno dei punti nevralgici del satanismo.

Torino e satanismo sembrano stringersi
in un legame sempre più indissolubile.

Studiando il fenomeno
del panico satanista,

ho scoperto che tutto parte da un libro

pubblicato tra la fine degli anni '70
e il 1980 in Canada,

che si chiama "Michelle Remembers".

In questo libro una paziente
racconta di aver subito da piccola

tutta una serie di abusi satanici rituali.

Questo libro ha un grande successo.

E, poco dopo, cominciano a uscire fuori
tutta una serie di casi

che porteranno a racconti molto simili.

Questi casi erano raccontati,

c'erano molti libri
che uscivano sull'argomento.

C'erano tante trasmissioni
che parlavano di satanismo.

In giro per gli Stati Uniti,

spuntavano come funghi altri casi
che avevano gli stessi elementi.

E quello che mi ha colpito
di più in assoluto

è stato il caso Keller.

Il caso forse più incredibile
accade ad Austin, in Texas, nel 1991,

in un asilo gestito
dalla coppia Dan e Fran Keller.

Tutto comincia quando una madre
nota nella figlia dei strani comportamenti

e la interroga fino a farle confessare
gli abusi subiti all'asilo.

Il dottor Mouw, un giovane medico
di turno al Pronto soccorso,

riscontra sulla bambina
due piccole lesioni molto recenti.

Vengono allertati la Polizia,
e gli assistenti sociali.

In pochi giorni,
altri bambini accusano i Keller di abusi,

di portarli in un cimitero,
di dissotterrare delle bare

e di essere obbligati
a bere sangue animale

alla presenza di persone mascherate
che li filmano.

Dan e Fran Keller vengono condannati
a 48 anni di carcere.

Keith Hampton è l'avvocato
che richiede la riapertura del caso Keller

e riesce, dopo una dura battaglia,
a farli scarcerare

e a farli tornare a casa.

Ci sono varie ragioni
per cui furono condannati.

L'accusa non condivise alcune prove

che avrebbero dimostrato
la loro innocenza.

Poi, c'era la certezza assoluta
che i bambini non mentono.

Se il bambino dice: "Hanno fatto questo"

allora la condanna è assicurata.

Per tornare in tribunale,
dovevo disporre di nuove prove.

Il dottor Mouw,

il ginecologo che si era occupato
all'epoca di questo caso,

aveva ammesso di avere
dei seri dubbi sul proprio operato

perché, all'epoca, non era così esperto.

All'udienza, l medico legale
è stato un testimone chiave.

Era determinato
a ritrattare il suo parere.

E così ha fatto.

Un altro importante elemento probatorio

era costituito dal progresso
della psicologia sui ricordi infantili.

Oggi, sappiamo molto di più
su come opera la memoria di un bambino.

Al tempo, le informazioni a riguardo
erano decisamente scarse.

All'epoca,

prima che si capisse quanto fosse facile
indurre falsi ricordi nei bambini,

molta gente non aveva idea

di come interfacciarsi
con un bimbo di quattro anni.

I miei clienti
meritavano di essere assolti.

Lì, mi sono reso conto
che lo stesso modello probabilmente

poteva essere applicato
al caso dei Diavoli della Bassa modenese.

Io sono uno che quando trova del materiale
lo legge o lo guarda tutto.

Dall'inizio alla fine.

Sempre.

E quindi, conoscendomi,

sapevo di trovarmi di fronte
a una montagna di materiale.

Ho detto: "Ma io quando la guardo
questa roba?"

Avevo bisogno di una mano.

E chiamai Alessia.

Mi suona il telefono. Vedo: "Pablo"

Lui mi fa: "Guarda,
sono su una storia assurda

e avrei bisogno un po' di una mano."

Alessia all'epoca era una giovane
redattrice de Le Iene,

il programma per cui io avevo lavorato
per diversi anni.

Avevamo collaborato ad alcuni casi

e mi piaceva molto il fatto
che fosse giovane ma determinata.

Una persona molto intelligente,
molto sveglia.

Il primo video che io ho visto
è stato quello di Pietro.

Io ne ho dovuti uccidere cinque.

Tre volte alla settimana.

E dopo quelle tre volte a settimana lì,
tutte le sere ne dovevo uccidere cinque.

Tu, ai tuoi genitori sei mai riuscito
a dire: "Sono arrabbiato".

Non lo so, " Mi sono scocciato".

- A portare la tua rabbia.
- Non potevo.

- Non potevi?
- No.

Strano, non mi torna.

Come fa un bambino a raccontare
una cosa del genere

e a ridere e scherzare?

Al primo bambino, gli ho dovuto...

tirare un coltello nel cuore.

E dopo...

Rompergli l'osso del collo.

Io, dentro di me, pensavo:

"Com'è possibile
che stiano dicendo queste cose?"

Raccontare questa storia senza sentire
la loro voce per me non aveva senso.

Magari hanno una versione diversa,

magari oggi guardano questa storia
con occhi diversi.

Magari c'è qualcosa all'infuori
di quei video che noi non sappiamo.

Lì ho capito che dovevamo sentire
direttamente da loro.

La prima cosa che abbiamo fatto è capire
come si chiamavano davvero queste persone.

Perché in molti documenti che avevamo
c'erano solo le iniziali.

Ed era anche un bel casino

perché alcuni di loro
hanno le stesse iniziali.

Quindi confondevamo anche
i nuclei familiari, i bambini...

In questa ricerca, i social
ci hanno aiutato tantissimo.

Perché ovviamente
sono tutti ragazzi giovani

che quindi hanno Facebook.

Però, quello che puoi fare sui social
è semplicemente mandare un messaggio.

Ma chi ti risponde?

Con lei ci abbiamo provato...

Abbiamo deciso: "Non siamo più nel 1997,
adesso abbiamo degli adulti.

Incontriamoli."

E siamo scesi in Emilia
per cercarli fisicamente.

Partiamo da Vanessa.

Perché era la più grande all'epoca.

Quindi quella che probabilmente,
nella nostra testa,

aveva più ricordi
della sua famiglia originaria,

di quella di Lorena.

Mentre l'aspettiamo,
iniziano i primi dubbi.

"Cosa le diciamo?"

Tu vai da una ragazza di 30 anni

e la riporti indietro al periodo
più brutto della sua vita?

Con quale coraggio?

Ti senti un po' come il destino
che bussa alla porta di qualcuno.

Cioè, non....

Non è stata una scelta facile.

Noi bussavamo alla porta di questi ragazzi
dicendo:

"Abbiamo una scatola
con dentro delle cose.

Volete riguardarle oppure no?"

Una domenica mattina,
me lo sono trovata sotto casa.

Non ha dato preavviso
non ha chiesto appuntamento.

Mi ha proprio spiazzata in tutti i sensi.

Lui si è presentato,
lui e l'assistente Rafanelli.

"Piacere sono Pablo Trincia,
ho nuove informazioni sulla tua vita."

In quel momento lì,
io ho detto, tra me e me,

"Ma come può questa persona
che io non conosco e lui non conosce me,

sapere della mia vita cose in più di me?"

Tu vuoi la mia intervista,
ti comporti correttamente.

Non è che vieni qua

e imponi il tuo pensiero
come se niente fosse.

Lei ci risponde:
"Io non voglio saperne niente".

Stoppati.

Andiamo dalla figlia dei Giacco.

Mi sono affacciata alla finestra di casa.

"Guarda, stiamo indagando
sulla tua storia di 20 anni fa."

Li ho guardati e ho detto: "Scusa?"

Lei è stata molto dura.

Ci ha detto: "Io lo ricordo
quello che mi è successo.

Come vi permettete
di dire che non è successo?

Io me li ricordo gli abusi di mio padre."

Gli ho detto:

Andatevene perché io con il mio passato
non voglio più averci a che fare.

Mi sono fatta una vita.

Penso al mio presente,
ho una famiglia che mi vuole bene.

Quindi, non c'è dubbio

che venga a raccontare la mia storia
a voi che non conosco."

Contattiamo Marta.

Andare da Marta
è stata la cosa più difficile di tutte.

Perché c'era il suicidio
della madre nella storia.

Cosa devo dire?

Ti voglio bene!

Andiamo nella casa in cui abitava
con i genitori adottivi.

Ci dicono che non c'è.

Lasciamo al citofono ai suoi genitori
il nostro numero di telefono.

Dopo un po', ci arriva la sua chiamata.

Chiusura totale.

"Non ne voglio sapere assolutamente
niente.

Non contattatemi più. Grazie, ciao."

La sensazione è orribile ogni volta
che loro ci chiudevano le porte in faccia

perché veramente ti chiedevi...

"Ma con che diritto io racconto
la storia di una persona

se questa persona non vuole?

Però, non abbiamo mai pensato di fermarci.

Dario era il primo bambino coinvolto.

Quindi se c'era un'origine,
quell'origine era proprio Dario.

Abbiamo sempre avuto l'idea che comunque
ormai, dopo tanto tempo,

non ci fosse più l'interesse
per questo caso.

Fino al 2015, quando un pomeriggio,

arrivano nel cortile di casa mia
due persone.

Avevamo portato con noi Giulia

perché Giulia aveva molta voglia
di incontrare di nuovo Dario.

Avevo portato l'album delle fotografie

perché speravo di risvegliare in lui
qualche ricordo di noi.

- Vado.
- Vai.

- Ci siamo.
- Top.

- Ciao.
- Ciao.

Abbiamo preferito dividerci.
Pablo è rimasto in macchina.

Solo io e Giulia siamo andate.

REGISTRAZIONE INCONTRO
CON NICOLETTA BERNI

- Salve.
- Giulia, sono la figlia di Oddina.

Si è affacciata alla finestra
del primo piano.

Subito ha salutato in modo educato.

Si ricorda della mia mamma?

- Sì... Arrivo subito.
- Venga, l'aspetto.

Io, lì per lì, non avevo neanche
ben capito insomma... chi erano.

Poi, mentre facevo le scale
per scendere e per incontrarle,

ho realizzato chi erano.

Ecco, lì è scattata un po' l'ansia
da protezione.

Ho proprio cacciato queste persone.

Tra l'altro, voi non dovreste
neanche sapere dove abita.

Questa è una cosa molto preoccupante.

Vi chiedo di allontanarvi immediatamente
da questa casa.

L'avevo sentito proprio come un attacco
alla nostra privacy.

Non voglio dover ripercorrere strade
che ho già percorso,

strade molto pesanti.

Era solo...

Assolutamente, vi allontanate
o chiamo le Forze dell'Ordine.

- Ma ci mancherebbe, signora.
- Bene.

- Ci allontaniamo adesso.
- Allontanatevi immediatamente.

Non aggiungete altro
o chiamo le Forze dell'Ordine.

Nessuno di loro aveva dei dubbi.

Erano tutti convinti
che la verità fosse la verità processuale.

E lì pensavamo:
"Cavolo, la situazione si complica."

Molte volte mi sono chiesto:
"E se fosse vero?"

Io quelle domande me le facevo.

Però poi mi sono reso conto
che non aveva senso chiedersi

se era successo o meno.

Devi controllare l'evidenza.

Devi guardare l'evidenza e devi capire
come si è arrivati a quelle dichiarazioni.

Quello è la tua materia di studio.

Non c'era solo da analizzare i racconti
fatti da bambina.

C'era anche da analizzare
l'atteggiamento dell'adulto.

Quindi era un doppio lavoro di analisi
sull'uno e sull'altro.

Quindi, mi sono ritrovato
a fare centinaia di telefonate

a tutte le persone
con cui potevo parlare di questo tema.

Esperti, avvocati...

E la professoressa Mazzoni da quel momento

è stata un'esperta
a cui mi rivolgevo spesso.

La pressione di un interrogatorio
può condizionare il ricordo?

Fondamentalmente, le false confessioni

dipendono quasi esclusivamente
da come viene condotto l'interrogatorio.

Per anni e anni, ho studiato meccanismi
che permettono di creare ricordi falsi.

Le tecniche sbagliate di intervista
nei casi giudiziari.

Ci sono stati tutta una serie di studi
che hanno mostrato

come il dare suggerimenti,
il chiedere, l'insistere,

sono tutte forme che poi portano
a parlare di qualcosa.

Ma non riusciamo poi a capire

se una persona
recuperi dei ricordi veri traumatici

oppure se, in un qualche modo,

crei ex novo
dei ricordi falsi traumatici.

- Come stai?- Bene,

Bene?

Una delle cose che mi ha colpito di più

è stato un video tra una psicologa

e la bambina, la cui mamma
si è lanciata dal quinto piano.

È rimasta orfana.

La bambina aveva questo golfino rosso,
era molto timida, molto carina.

Diceva poche parole.

Stava raccontando
che era tornata a Mirandola,

la città dove lei abitava con la mamma
prima di essere allontanata.

E la psicologa le chiedeva:
"Che cosa hai provato?"

- Cosa hai provato?
- Un po' di emozione.

Un po' di emozione.
E sapresti dirmi che emozione?

Quale emozione? Sapresti dirmi
o dare un nome a questa emozione?

- Di gioia!
- Di gioia?

E la psicologa...

insinuava che non ci fosse
solo della gioia.

- Di gioia, quindi ti ha fatto piacere?
- Sì.

Vedere di nuovo questa piazza?

Forse c'è anche...
un'altra emozione?

Insieme alla gioia?

C'è un'altra emozione oppure no?

- No, c'era solo gioia.
- Un po' di gioia.

Questo è un colloquio molto speciale
fatto su un bambino potenziale vittima,

con una persona
che ha in realtà capacità cognitive

non ancora completamente sviluppate.

Ha questo rapporto con l'adulto
in cui si fida dell'adulto, va bene?

L'adulto sa più di lui, come concezione.

E poi mi ricordo che a un certo punto
la psicologa le dice:

"Forse quegli occhi lucidi esprimono
un sentimento che non mi vuoi dire,

che non riesci a dire."

I tuoi occhi lucidi ogni tanto mi dicono
che cerchi di buttare giù qualche...

Qualche boccone, vero?
È possibile?

Non è stato uno scambio traumatico.

Non c'erano racconti di morti,
ammazzamenti...

Sangue, queste robe qua.

Ma... io ci ho visto proprio una violenza

in quell'atteggiamento.

Quando poi c'è uno sconvolgimento
nella vita,

ci affidiamo anche
a un'interpretazione di altri

che ci permettono di dare un senso
all'esperienza che abbiamo appena vissuto.

E accettiamo in un qualche modo
quest'interpretazione.

Forse ci può essere anche un briciolo
di sofferenza a tornare qui?

- Sì.
- Può essere?

Solo che per te è difficile dirlo?

Quindi mi sembrava letteralmente
di vedere questa donna

che ficcava la mano
dentro la bocca della bambina

per tirarle fuori delle parole
che lei non aveva usato.

L'ascolto deve essere un ascolto
che segue delle regole molto precise,

di grande cautela,

Non bisogna mai forzare i bambini
a dare una risposta.

Bisogna dire ai bambini
che possono dire di no.

Non bisogna assolutamente ripetere
troppe volte le domande con insistenza.

In base ai termini che tu utilizzi
nella tua domanda,

rischi di influenzare la risposta.

Era una cosa che io non conoscevo.

Quello che la letteratura scientifica
sull'intervista dei minori dice

è che queste forme di insistenza
sono sbagliate.

Dice anche che le forme
di empatia eccessiva sono sbagliate.

Perché l'empatia fa sì

che chi fa le domande
e ascolta le risposte,

non abbia il sufficiente livello
di neutralità

nei confronti
di quello che il bambino racconta.

Allo stesso tempo, ho scoperto
che c'è un gruppo di psicologi e medici

che adoperano questo metodo empatico

di relazionarsi con un bambino
potenziale vittima di abusi.

Tra questi, uno dei più rinomati
era lo psicologo Claudio Foti,

il fondatore del centro "Hansel e Gretel".

Nell'ambiente, era sicuramente visto
come una specie di guru.

Ascoltare e fare emergere la verità.

Il problema piccolo o grande,

il disagio piccolo o grande
che c'è dentro l'altro.

Nel corso degli anni, è entrato,
attraverso dei corsi di formazione,

in molte ASL locali,

dove ha formato psicologi,
assistenti sociali

e operatori di vario genere.

Lui è stato marito di Cristina Roccia,

la psicologa che molto spesso si è vista

nei video dei bambini
della Bassa modenese,

mentre interagiva con loro
in qualità di consulente per il tribunale.

All'epoca, aveva lavorato
assieme a Claudio Foti.

Quello che viene contestato
è che questi metodi di ascolto empatico

che non tengono conto della potenziale
presenza di suggestioni

sia in realtà pericoloso perché rischia
di generare falsi ricordi e false accuse.

Non sono riuscito a non pensare

quanto potenzialmente pericolosa
fosse questa cosa.

Ecco, ti hanno detto che tu eri protetta?

Sì, subito mi hanno detto...

"Sei protetta,
adesso dobbiamo capire bene da che cosa."

Più ci documentavamo

e più ci rendevamo conto
di dover sentire direttamente i bambini.

E quindi, ci ributtiamo su Dario.

Era un sabato mattina.

Ci siamo appostati sotto la casa
abbastanza presto.

Ad un certo punto,
vediamo un ragazzo con un cane.

Capelli biondi, gli occhiali...

E capiamo che era Dario.

Lo raggiungiamo.

E con una frase stupida lo aggancio.

Mentre parlavo,
ridevo perché ero agitatissima,

Io ricordo che la prima frase
che abbiamo sentito di Dario

è stata anche la frase
più importante per noi.

Io sinceramente
non sono neanche più sicuro

di quello che è successo o non è successo.

Mi hanno allontanato
che ero piccolo, capito, quindi...

Molti psicologi cerano anche di farti dire
quello che vogliono loro,

per i soldi.

Non sono neanche più sicuro di tutta...

Veramente?

"Gli psicologi hanno il potere di far dire
ai bambini quello che gli pare."

Senza che noi gli avessimo detto nulla.

Ci diciamo che, cavolo, tra le tante cose
che avevamo immaginato, questa non c'era.

Diceva in continuazione:

"Mi hanno fatto dire
quello che volevano loro."

Quindi noi avevamo di fronte
uno degli ex bambini

che confermava i dubbi che i genitori,
i legali, noi stessi avevamo avuto.

REGISTRAZIONE INCONTRO CON DARIO

Tu pensi di averli ammazzati davvero
dei bambini al cimitero?

Io il ricordo ce l'ho.

Che fino a cinque anni fa, mi martellava.

Quello di aver ammazzato
un bambino al cimitero?

Sì.

Io gli ho chiesto; "Ti è stato detto
che tutti quei rituali,

quegli sgozzamenti,
quelle violenze nei cimiteri

non sono mai accadute?

- Te l'hanno detta questa roba, vero?
- No.

Come no?

Cioè io so più o meno che hanno preso
la gente e l'hanno messa in carcere.

Ma che non hanno mai trovato niente,
nessuno me l'ha mai detto.

Quindi noi capiamo
che abbiamo di fronte un ragazzo

che per 20 anni della sua vita
ha creduto di aver ucciso dei bambini

che non ha mai ucciso.

Lui ci ha dato il suo numero di telefono.
Ci ha scritto ringraziandoci.

Ci ha detto che per lui
era un sollievo sapere

che tutte quelle cose nei cimiteri
erano finte.

Che per anni, si era alcolizzato
per questo motivo.

Sembrava molto ben disposto,
voleva capire di più.

Quindi, io e Pablo un po' ci lanciamo,

nel senso che gli chiediamo
se ha voglia di rivederci.

Da quel momento in poi,
lui non risponde più.

Non risponde più al telefono.

Non risponde più alle mail, sparisce.

E poi, ci ha scritto
di non farci più vivi,

altrimenti avrebbe chiamato i Carabinieri.

È stato un po' deludente.

Speravamo che i bambini
ci parlassero, però, sai...

Alla fine, lavori con quello che hai.

I mesi in cui abbiamo lavorato al podcast,

nel senso che ci siamo messi
a scriverlo, a montarlo,

sono stati durissimi.

Non avevamo budget e sapevamo
che non avremmo guadagnato nulla.

Che avremmo, anzi, solo speso soldi.

Ci siamo chiesti più volte

Abbiamo il diritto di farlo?
È giusto farlo?

Sapevamo che ci trovavamo

di fronte a una scelta professionale
ed etica molto difficile.

Quando vuoi, Pablo.

Ci siamo chiesti molte volte
quanto fosse giusto raccontare la vicenda

che abbiamo chiamato "Veleno".

È una domanda
che continuiamo a farci ancora oggi.

Il podcast "Veleno"
è uscito il 23 ottobre 2017,

per sette settimane.

Qualche sera fa, mentre stavamo lavorando
a quest'ultima puntata,

ci è arrivata la mail di una donna
molto vicina a uno dei 16 bambini

allontanati dalle famiglie
tra il 1997 e il 1998.

Oggi, quel bambino ha 30 anni.

Ho avvisato un po' di persone
della Bassa modenese.

Però, mi sono anche chiesto:
"Ma riusciranno ad ascoltarlo?"

Perché non erano molto tecnologici,
non tutti, almeno.

Non sapevo cosa fosse un podcast.

Io ho immaginato
che fosse un articolo di giornale...

Un dossier.

Ero al lavoro.
Mi misi le cuffiette nelle orecchie.

E, camminando, ascoltavo queste parole.

"L'unica cosa che so per certo,
ci ha scritto,

è quanto dolore questa inchiesta
sta facendo emergere nuovamente

negli animi delle vere vittime
di questa faccenda:

i bambini protagonisti della storia."

La donna si domandava
quale fosse il nostro scopo.

E, tra le righe, ci chiedeva
se non ci sentissimo in colpa

per aver riaperto una ferita che, da anni,
tutti loro cercano a fatica di ricucire.

Vogliamo rispondere
direttamente a quei bambini.

Cari Marta, Elisa, Milena, Nino, Sandra,

Roberto, Vanessa, Emilio,

Piero, Aurora, Michela, Simona,

Cesare, Melania, Angelo

e caro Dario.

Vi chiediamo scusa.

Ma se abbiamo fatto tutto questo

è perché crediamo che poter scegliere
di conoscere il lato B di questa storia

sia un diritto vostro e delle famiglie
dalle quali siete stati allontanati.

Ci siamo imposti
di rispettare la vostra privacy

e la nuova vita che vi siete costruiti.

Ma non potevamo ignorare le anomalie
e le contraddizioni

nascoste dietro le decisioni
che hanno segnato questo caso

e stravolto la vostra infanzia.

Oggi siete adulti.

Siete liberi di decidere

se riaprire questa scatola
e guardare le cose con occhi diversi,

oppure lasciarla in soffitta
e andare avanti.

"Veleno" è per voi.

Finito l'ascolto,
ho cominciato a immaginare

che comunque, in un futuro,
le cose sarebbero cambiate.

È una speranza in più che i miei figli
un giorno possano incontrarmi.

DUE MESI DOPO L'USCITA DEL PODCAST

LA COMUNITA' DELLA BASSA MODENESE

ORGANIZZA UN INCONTRO
CON I PROTAGONISTI DELLA VICENDA.

Quando ero in carcere,

ho sempre sperato che, prima o poi,
sarebbe venuta fuori la verità.

Però, dall'altro lato,

non pensavo sinceramente
che se ne sarebbe riparlato.

Era soltanto un sogno.

Dopo l'uscita della settima puntata,

mi sono arrivati tanti messaggi
di ragazzi di Massa Finalese

che mi dicevano: "Io sono nato qua
e non sapevo nulla di questa storia."

"I miei genitori mi hanno raccontato
di avermela tenuta nascosta

perché avevano paura."

Tanti messaggi così.

Un'intera comunità che all'improvviso
si era risvegliata dal torpore.

Io vi ringrazio per essere qui,

che dopo 20 anni
ne volete ancora parlare, volete capire.

E ringrazio Pablo,

perché se non fosse arrivato Pablo
e se non fosse arrivata Alessia,

non avremmo la fortuna di riuscire
a parlarne pubblicamente.

Sono 20 anni che aspetto questa serata.

Il paese, la città

aveva bisogno di fare
un ponte fra un passato

che loro cercavano di camuffare,
di nascondere ai loro figli.

La frattura del territorio
andava ricomposta.

I giovani che non possono sapere,

perché nessuno di noi
raccontava a casa queste vicende.

Cosa racconti?

C'erano centinaia di persone
ammassate in questa sala

che erano venute lì per ascoltare
i testimoni di questa storia

che si raccontavano al pubblico.

Il motto mio è sempre:
"Che non capiti mai più."

Io ho visto della gente quella sera lì

che quando lasciai l'Italia
era del dubbio.

Quella gente lì è venuta ad abbracciarmi,

è venuta a stringere la mano
a Stefano, a me, ai miei fratelli.

Mi fanno: "Guarda, noi sapevamo
di questa situazione,

della tua storia, della tua innocenza,

ma non sapevamo tutto quello che ci poteva
stare dietro da parte dell'accusa."

Un assembramento di persone
così silenziose, attente ed emozionate,

io non l'ho mai visto e penso
che non lo vedrò neanche mai più.

La gente finalmente aveva capito

che comunque ti era successo
un qualcosa di più grande di te.

E quindi sentivi la vicinanza
delle persone.

Intanto, ringrazio tutti i Finalesi,
i Massesi...

Tutta la gente...

È stato uno di quei rari momenti
in cui mi sono reso conto

di quanto a volte possa essere importante
e utile il nostro lavoro.

Di quale sia l'impatto reale
del nostro lavoro sulle vite degli altri.

Ci siamo trovati travolti da mail,
telefonate di giornali,

Telefonate di trasmissioni televisive.

"Veleno" è il titolo di questa inchiesta.
Grazie di essere qui...

Con noi c'è Pablo Trincia
che è un giornalista.

Pablo, visto che tu hai lavorato

su quest'inchiesta "Veleno"
degli anni '90.

Ci puoi aiutare a individuare...

Tutti la stessa reazione,
mi chiamavano e mi dicevano:

"Ma è incredibile questa storia.
Com'è stato possibile?

Facci capire, mandaci la documentazione."

Io speravo che questa storia uscisse fuori

e che andando in televisione,
aiutando le altre trasmissioni televisive,

potevamo fare un lavoro tutti insieme
per capire veramente

e per arrivare in fondo a questa storia.

Lorena, qui vicino a me è stata assolta

dopo 16 anni di tormenti giudiziari.

Mi metteva ansia e rabbia questa cosa qua

perché questa situazione
era più grande del previsto.

Non era il solito articolo
che poteva uscire un giorno

e il giorno dopo era tutto dimenticato.

Siamo stati chiamati
da La Repubblica, da La 7, a Uno Mattina,

da Giletti, da Magalli.

Benvenuta e bentornata a Lorena Morselli.

Era una cosa più grande
di quanto uno potesse immaginare.

Ho detto: "Devo sapere cosa dicono di me."

Tra il 1997 e il 1998,
in due paesi dell'Emilia-Romagna,

16 bambini furono allontanati
dalle loro famiglie

e affidati ai servizi sociali della zona.

L'accusa era delle più gravi...

Io a pochissime amiche
ho raccontato il mio passato.

Perché volevo lasciare da parte
quello che avevo vissuto.

Il 16 marzo 1998 arriva un nuovo caso
per la psicologa Donati.

Quello di una bambina di nove anni,

figlia di una coppia,
Santo e Maria Giacco.

A mio marito non avevo raccontato
la parte dei cimiteri.

Da semplici luoghi
di una squallida messa in scena,

diventano teatro di omicidi.

E una sera, mi sono dovuta mettere lì
e raccontarglielo.

Quella era la parte che avevo tenuto
in un cassetto chiuso,

che non ero riuscita a raccontarlo a lui.

Loro non hanno scelto
di riportare alla luce la loro storia.

L'hanno subita, questa situazione.

Essere costretti a rivivere quei ricordi,
quelle esperienze...

Io l'ho percepito
come qualcosa di violento...

di ingiusto.

Quando cadeva del sangue,
mia madre subito a pulire

perché non voleva
che rimanessero delle tracce.

Sentire le nostre voci,,,

Senti solo un pezzettino ben mirato,
ben calibrato,

ma non capisci il contesto.

Mio padre, facendomi quelle cose
che mi ha fatto...

così brutte, così cattive,

io... cioè...

Io non lo voglio neanche incontrare,
ho paura di lui.

Quando si riapre una ferita...

Solo chi l'ha vissuto riesce a capirlo.

Gli altri possono dire quello che vogliono

ma quello che è stato vissuto...

su di me, solo io lo posso capire.

Poi, anche noi abbiamo capito
che bisognava difenderci in qualche modo

perché venivano dette un sacco di scemenze

su quello che noi avevamo vissuto
in prima persona,

senza rispetto nei nostri confronti.

Siamo arrivati alla conclusione
che l'unione fa la forza,

ancora una volta.

Era arrivato il momento
di formare questo comitato.

INCONTRO COMITATO VOCI VERE

Abbiamo deciso di aprire
anche la pagina sui social

che è molto seguita da tutti.

Anche da...

Dal diretto interessato... Pablo Trincia.

È piccola la nostra voce

e magari non ha tutto quell'eco
che magari può avere lui.

Però si fa il possibile per mantenere
comunque la nostra dignità.

La nostra...

La nostra voce ha il suo peso.

Al nostro comitato
partecipano 7 ragazzi su 16.

Noi ci siamo. Siamo piccoli,
non abbiamo forza, ma ci siamo.

E ogni volta che appare un articolo
sbagliato sulla stampa

o in una trasmissione televisiva,

vengono dette delle cose
che non sono corrette,

noi replichiamo.

16 bambini che allora vennero allontanati
per sempre dalle loro famiglie.

Oggi, quattro di loro, ormai adulti,

hanno deciso per la prima volta di parlare
confermando le violenze subite.

Non è un brutto sogno,
non è stata una brutta cosa.

Se anche minimamente
avessi avuto un dubbio,

avrei detto; "Io voglio la mamma,
io voglio tornare a casa.

Ho voglia della mia famiglia."

Ma in 20 anni,

non ho mai, mai sentito
la mancanza di questo.

Lo scopo del comitato
non è di presentare una versione

opposta a quella di Pablo Trincia, no.

Lo scopo del comitato
è quella di informare,

di divulgare come sono andati i fatti.

Lui è stato bravissimo.

È stato bravissimo
perché ha sedotto molte persone.

Ma peccato che ha presentato
una visione della storia

che non è quella che abbiamo vissuto noi.

Verranno tempi, io credo,
che le cose poi si chiariranno

e vedremo questa storia in un altro modo.

Io sicuramente sentivo quelle critiche.

Perché la prima reazione
quando leggi una critica al tuo lavoro

ovviamente è un po' protettiva
nei confronti di quello che hai fatto.

Però, quando vedi...

la sofferenza di tutta quella gente
sicuramente ti intacca.

Io devo ammettere
che dopo l'uscita del podcast "Veleno",

pensavo che nessun bambino
sarebbe mai tornato a casa.

Era passata troppa vita,
erano passate troppe cose brutte in mezzo.

Ma poi, un giorno, mi chiama Simona.

Siamo stati tutta la sera al telefono.

E lei mi ha raccontato
tutta la sua storia.

Era l'unica bambina
che non aveva mai accusato nessuno,

né i genitori, né altre persone
di niente.

Però, era la bambina

che, secondo i consulenti medici
del tribunale,

aveva subito quelli che sembravano
gli abusi più probabili.

Subito dopo aver parlato con Simona,
ho chiamato Alessia.

Le ho detto:
"Dobbiamo far uscire un altro episodio.

La gente deve sapere
come continua questa storia."

Finalmente qualcuno che dopo 20 anni
si interessa a questa storia

che ha un punto di vista diverso.

Ho pensato anche che poteva essere
finalmente arrivato il momento

di raccontare la mia verità.

PER TURELARNE LA RISERVATEZZA
E L'INTEGRITA'

L'IDENTITA' DEI MINORI È STATA PROTETTA
ATTRAVERSO L'UTILIZZO DI NOMI DI FANTASIA